raccontare-la-disabilita-dei-piu-deboli,-un-dovere-per-migliorare-la-vita-di-tutti

Raccontare la disabilità dei più deboli, un dovere per migliorare la vita di tutti

Caro Mattia,

ti ringrazio molto per il tuo lavoro importante di sensibilizzazione verso la disabilità. Di recente ho letto una storia che mi ha fatto pensare alla mia situazione familiare. Riguarda un giornalista che lavora da anni per il quotidiano Avvenire, ma solo dal 2000 ha deciso di raccontare la disabilità di suo fratello con sindrome di Down e di suo figlio con una grave disabilità mentale. Inizialmente non si occupava di disabilità perché aveva paura di venire giudicato come un privilegiato che sfruttava il proprio lavoro di giornalista per denunciare situazioni a proprio vantaggio, a differenza di altri che non potevano farlo. Quando si ha un disabile in famiglia, i motivi per cui non se ne vuole parlare possono essere tanti. Nel caso del giornalista, il timore di trattare argomenti troppo personali, ma le ragioni possono essere molteplici, come la paura che gli altri comincino a comportarsi in modo pietistico o ad avere pregiudizi, si teme, ad esempio, che, quando si chiedono giorni di permesso lavorativo, la disabilità venga presa come una scusa. Invece, dobbiamo mettere da parte tutte queste paure e parlare apertamente delle nostre situazioni. Come dici tu, quando si vive la disabilità a stretto contatto, è fondamentale farla conoscere in tutti i suoi aspetti, per farla comprendere meglio e correttamente, anche a chi non la vive. Per aiutare tutte le persone disabili bisogna, parlare non solo di atleti e di disabili belli da vedere e sorridenti, ma anche di quelli “più brutti e sporchi” che vivono nelle condizioni peggiori, con disabilità gravissime. Sono sicuro che avrai un’opinione molto interessante su questo tema.

Vittoria

Ringrazio Vittoria di avere sollevato un tema delicato e importante, che è la paura del racconto e dell’esposizione di sé. Purtroppo, sono comprensibili le paure che gli altri possano giudicarci in modo diverso o sbagliato, una volta che raccontiamo la nostra esperienza; tutti, del resto, temono il giudizio altrui, che a volte è ingiusto, impietoso e fa male. Tuttavia, non è giusto tenere nascoste le nostre situazioni per paura del giudizio altrui, non è costruttivo né per noi, né per gli altri. Dobbiamo far capire qual è il corretto approccio nei confronti della disabilità e, se gli altri persistono in un giudizio sbagliato, significa che non sono capaci di guardare la realtà da un altro punto di vista. Comprendo il timore del giornalista, che non voleva sfruttare la propria testata per fini personali ma, visto che di disabilità se ne parla poco, secondo me è fondamentale sfruttare tutti i canali possibili, soprattutto per abituare gli altri a percepire la disabilità come una parte della vita di tutti i giorni. Come sapete, ho partecipato alla trasmissione “O anche No” che parla di disabilità in modo ricco ed esauriente, ma il cui palinsesto non è in prima serata o in un orario che permetterebbe la visibilità che merita. Attenzione però: parlare della disabilità in modo corretto anche sui media, non vuol dire spettacolarizzarla, facendo vedere solo il disabile di successo.

Vorrei anche che si smettesse con questa retorica del disabile supereroe che può fare tutto grazie alla forza di volontà, perché purtroppo non è così. Ci sono molti disabili che non potranno mai fare nulla, bloccati in un letto o in carrozzina, senza capacità di esprimersi, che meritano tuttavia la stessa attenzione e visibilità di atleti paraolimpici, come Bebe Vio o disabili famosi come Andrea Bocelli. Dobbiamo sempre salvaguardare le persone, come dice Vittoria provocatoriamente citando il giornalista, anche quando sono “brutte e sporche”. Proviamo sempre a metterci nei loro panni, altrimenti ci saranno sempre persone discriminate ed escluse dalla società, considerate inutili e da evitare. Parliamo di disabilità senza vergogna, senza farcene una colpa. Io personalmente spero di accogliere in questa rubrica sempre più storie di persone che, con fierezza e a testa alta, raccontano anche le situazioni più pesanti e più difficili.

Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. “Questo spazio – dice – è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda”. Segnalate un problema o raccontate una storia positiva di disabilità all’indirizzo e-mail postacelere.mi@repubblica.it o scrivete a Mattia su Instagram www.instagram.com/abbate_mattia/

Related Posts