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La Bce adotterà lo statuto di Greenpeace?

Non solo green. Ecco le differenze fra Bce e Fed. L’analisi di Giuseppe Liturri

Lunedì a Stoccolma abbiamo assistito ad uno scontro verbale tra i due banchieri centrali più importanti del mondo. Si sono confrontate due idee diametralmente opposte sul ruolo della banca centrale e sulla sua indipendenza. Temi che appaiono lontani dall’esperienza quotidiana dei cittadini, ma che invece determinano effetti decisivi sul nostro tenore di vita, sulla nostra disoccupazione, sui nostri redditi e salari. All’interno della sede della banca centrale svedese – dove numerosi e prestigiosi esponenti delle banche centrali dei Paesi del G20 erano convenuti per un simposio – abbiamo assistito, da un lato all’esondazione del delirio “green” di Isabel Schnabel della Bce e, dall’altro, il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha sottolineato cosa può, e soprattutto non può, fare un banchiere centrale e con “non siamo e non saremo mai responsabili di decisioni politiche sul clima”, ha impartito una lezione alla collega tedesca.

Si discuteva dell’indipendenza delle banche centrali ed il risultato è stato quello di constatare che le peggiori preoccupazioni sugli effetti delle scelte che la Bce si appresta a fare sono purtroppo fondate. Come se non avesse già abbastanza difficoltà nel conseguire l’unico obiettivo della stabilità dei prezzi, abbiamo appreso dalla Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, che l’ubriacatura ideologica della transizione ecologica ha totalmente impregnato anche le pareti dell’Eurotower. La lotta all’inflazione serve per non danneggiare la transizione ecologica che ha bisogno di stabilità dei prezzi e quindi da Francoforte non si esiterà a proseguire nella politica di rialzo dei tassi “ad un ritmo sostenuto”. L’importante è marciare compatti verso le magnifiche sorti e progressive della lotta contro il cambiamento climatico ed a favore della decarbonizzazione. Pazienza se i salari non riusciranno a crescere, resteranno sul terreno qualche milione di disoccupati in più e registreremo l’ennesima recessione, sia pure, speriamo, lieve.

È toccato a Powell ricordare la limitatezza del raggio d’azione di una istituzione che ha precisi vincoli di mandato. Anzi, è proprio l’indipendenza nelle decisioni di politica monetaria che deve indurre il banchiere centrale a non uscire dal seminato e non intestarsi obiettivi e battaglie proprie di organi democraticamente eletti. Se ciò accadesse, sarebbe proprio l’indipendenza ad esserne indebolita.

Invece a Francoforte non hanno timori. Partendo dall’assunto che la stabilità dei prezzi è un valore assoluto per difendere il quale, la Schnabel ha sostenuto che il rialzo dei tassi comprimerà la domanda e condurrà al contenimento dell’inflazione, anche agendo sulle aspettative di consumatori ed imprese. Ammesso e non concesso che tale relazione causa-effetto funzioni bene ed in tempi ragionevoli, il ragionamento avrebbe potuto fermarsi qua.

Invece è partito un incredibile panegirico su obiettivi che dovrebbero essere di stretta competenza di istituzioni democraticamente elette. Secondo la Schnabel, i tassi più alti renderanno meno profittevoli gli investimenti in energie rinnovabili nella transizione ecologica, ma questo non può costituire un “capro espiatorio” per ritardare tali investimenti. Anzi, è solo contenendo l’inflazione che la transizione potrà avere successo. Infatti, la stabilità dei prezzi “è precondizione per una sostenibile trasformazione della nostra economia”. Inoltre, “l’inflazione non calerà da sola” e non agire tempestivamente ora, potrebbe costringere ad agire ancora più duramente in futuro, con ricadute ancora peggiori sugli investimenti.

Non paga, la “rossa” ha evidenziato l’importanza del ruolo della politica di bilancio dei governi nel guidare la transizione verde. Ma ha ancora una volta tracimato quando si è spinta ad affermare che i governi “devono (must) porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili”. Ormai da Francoforte arrivano ordini di servizio.

L’aspetto drammatico è che la Schnabel ha ben chiara la limitatezza del suo mandato, ma ha cercato di trovare un paravento legale usando l’obiettivo secondario costituito dal “sostegno alle politiche economiche della UE”. Ma se falliscono regolarmente da dieci anni il conseguimento dell’obiettivo primario, non sarebbe saggio essere meno ambiziosi e fare meno e meglio?

Pur di promuovere la transizione verde, la Bce è disposta ad intervenire pesantemente nella composizione dei bond societari che detiene in portafoglio, privilegiando gli emittenti più sensibili al “green”. Peccato che da tempo sia stato sollevato il rischio del cosiddetto “greenwashing”, una classica mano di vernice verde pur di imbonire gli investitori. Stessa cosa sul fronte più delicato dei titoli pubblici, per i quali si paventa un pericoloso ribilanciamento a favore dei titoli governativi di Paesi più spinti verso la decarbonizzazione.

Powell è arrivato qualche ora dopo questo pericoloso sogno, con una lezione sulla democrazia e sul ruolo, limitato ed importante, delle banche centrali. La cui indipendenza è giustificata dalla necessità di isolare le decisioni di politica monetaria dalle convenienze politiche di breve termine. Ma questa deve restare un’eccezione, perché le decisioni politiche importanti sono di competenza di organi democraticamente eletti e la Fed deve astenersi dall’affrontare altri temi di rilevanza sociale. Tanto più perché il problema del cambiamento climatico presenta così rilevanti dal punto di vista distributivo che solo un organo eletto può occuparsene. Sarebbe quindi “inopportuno” usare gli strumenti di politica monetaria per tale obiettivo.

Da indipendenza della Bce a dipendenza dei governi è un attimo e lunedì ne abbiamo avuto una preoccupante dimostrazione. E ne potrebbero seguire altre a breve.

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