Alfieri è entrato nel 2010 in CHIC, Charming Italian Chef, l’associazione nata nel 2009 “che riunisce un centinaio di grandi professionisti (oltre cinquanta stelle Michelin) che propongono una cucina creativa, nel rispetto delle materie prime di cui è ricco il nostro Paese”. Dal 20 marzo 2023 ne è il presidente.
Andrea Alfieri è il nuovo presidente di CHIC Charming Italian Chef.
Milanese, vicino ai 50, è decisamente un cuoco completo, a tutto tondo per usare un’espressione che piace molto in questo periodo. È stato, infatti, docente all’alberghiero, ha esperienze importanti nella banchettistica, ha gestito e gestisce le cucine di grandi alberghi e ha avuto un suo ristorante. Chi bazzica Milano probabilmente ricorderà il Sempione 42 che Alfieri ha guidato per diverse stagioni insieme alla moglie Samantha e alla socia Roberta. Oggi Andrea Alfieri è l’executive chef del Magna Pars, l’hotel 5 stelle di Milano.
L’intervista ad Andrea Alfieri
Ti aspettavi questa elezione?
Ormai sono al terzo triennio nel direttivo di CHIC, sono stato vicepresidente insieme a Paolo Barrale. Il direttivo ha deciso che era arrivato il mio turno.
Che presidente sarai?
Un presidente rompiballe, ho tanta voglia di fare. Soprattutto vorrei riuscire a creare un rapporto solido con tutte le altre associazioni di categoria. Solo mettendoci insieme e facendo rete potremo arrivare a bussare a certe porte. In questo momento più che mai, infatti, abbiamo bisogno delle istituzioni, con tutti i problemi contrattuali e di personale che abbiamo. Poi dovremo guardare anche all’estero ed espanderci fuori dall’Italia. In parte abbiamo già cominciato, c’è infatti una costola di CHIC a Dubai. Ci siamo resi conto che le aziende e gli sponsor sono molto interessati al mercato estero.
Quello del cuoco è un mestiere in crisi?
È in crisi l’intero settore, dalla sala all’hotellerie passando per la cucina. Si fa fatica a trovare personale. Pensa che in hotel avevamo assunto due persone e nessuna delle due si è presentata il primo giorno di lavoro.
Avete in programma qualcosa per avvicinare i giovani?
È molto difficile coinvolgerli ma sicuramente è uno dei nostri obiettivi. Spesso sono disinteressati e demotivati. Dopo un momento in cui, indotti dai programmi televisivi, i giovani pensavano che la cucina fosse un mondo meraviglioso, ora hanno realizzato tutti i sacrifici di questo lavoro. Noi lavoravamo anche 22 ore al giorno senza batter ciglio, questo naturalmente è disumano e oggi è impensabile, ma quello del cuoco non è neanche un lavoro da 8 ore con il cartellino. Dall’altra parte nessuna azienda può sostenere economicamente i doppi turni. Insomma, riavvicinare i giovani è un lavoro complesso che non può fare un’associazione da sola. Si deve partire dalle scuole.
Che valore hanno oggi le associazioni come CHIC?
Poco valore se ogni associazione guarda solo al suo orticello. Un tempo c’era la Federazione cuochi e basta. Oggi sono i JRE, gli Ambasciatori del Gusto, giusto per citarne un paio. Un’associazione ha valore se riesce a creare scambi e sinergie. Noi nel nostro piccolo ci proviamo perché i nostri soci non sono solo chef ma anche pizzaioli, pasticceri o panettieri e da tutte queste professionalità nascono interessanti collaborazioni.