Il piccolo Liam era morto 28 giorni dopo la sua nascita, e per quella morte sua madre, Aurora Ruberto, era stata condannata in primo grado a 10 anni per omicidio preterintenzionale. Ora, a otto anni dalla sua morte e a poco più di un anno da quella sentenza, il verdetto viene ribaltato. La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha assolto la donna perché il fatto non sussiste.
La vicenda processuale sulla morte del piccolo Liam Nuzzo è stata lunga e complicata. Nell’ottobre del 2015 il bambino era stato trovato esanime nella sua culla: era mattina, la madre aveva chiamato il 118, il bambino era arrivato in ospedale già in fin di vita. Ma nelle poche settimane dalla sua nascita in ospedale ci era già stato due volte: la prima, secondo il racconto della donna, perché le era caduto inavvertitamente dalle braccia, la seconda dopo qualche giorno perché i genitori avevano visto degli anomali rigonfiamenti sulla sua testa. Poche ore dopo quell’ultima visita al pronto soccorso era arrivata la morte.
Secondo le accuse il bambino, secondogenito della coppia che viveva a Ballabio, in provincia di Lecco, era morto perché la madre aveva sbattuto violentemente la sua testa su una superficie, provocandogli delle fratture al capo, e poi era sopraggiunta una polmonite letale per un bambino già così sofferente. La donna era stata così indagata, e anche il marito per condotta omissiva: per lui l’assoluzione era però arrivata già in primo grado. Per la moglie, invece, oltre alla condanna per omicidio preterintezionale (inizialmente l’accusa era di omicidio volontario) i giudici avevano anche stabilito la decadenza della responsabilità genitoriale sulla prima figlia.
Il processo era stato lungo e complicato, con diverse perizie non concordanti su come fosse morto il bambino. L’udienza preliminare a Lecco si era chiusa con un non luogo a procedere e la stessa procura aveva chiesto l’archiviazione, poi la procura generale di Milano aveva impugnato la decisione e si era così celebrato un processo a Como con rito abbreviato. Dopo la condanna i legali della donna Nadia Invernizzi e Roberto Bardoni avevano fatto ricorso.