Una denominazione forte, che cresce a valore, anche attraverso l’istituzione delle 11 uga sulla Gran Selezione. Entro il 2023 si concluderà il progetto di ricerca per far fronte ai cambiamenti climatici nel vigneto.
Con oltre trecento anni di storia, il Chianti Classico si mostra in forma e proattivo. Simboleggiato dal gallo nero, immagine che lo rende immediatamente visibile rispetto al Chianti Docg, il Chianti Classico Docg sta registrando un trend di crescita. I dati del febbraio 2022 rispetto a quelli dell’anno precedente (gli ultimi dati ufficiali) sono di un +7% a valore. “La sensazione – afferma il presidente Giovanni Manetti, al suo secondo mandato consecutivo – è che stiamo replicando il 2021, che per noi è stato un anno da record, con un aumento delle vendite del 20 per cento. Forse nel 2022 potremmo chiudere con una crescita tra l’8 e il 10% a valore. Se nel 2021 era immaginabile un rimbalzo positivo, questo ulteriore incremento fa pensare a un riconoscimento della forza della denominazione”. è una crescita su tutti i fronti: prezzo delle uve, sfuso, imbottigliato e valore della terra: fino a due anni fa un ettaro si aggirava intorno ai 150mila euro, attualmente è tra i 200 e i 250mila.
Le unità geografiche aggiuntive:
Una realtà dopo 30 anni
Nel 2021 si è arrivati a una svolta condivisa dai produttori con il progetto consortile delle Uga (Unità Geografiche Aggiuntive), che divide l’areale della denominazione in undici zone più ristrette. Per il momento sono applicabili, per chi ne fa richiesta, solo alla tipologia Gran Riserva, il vertice della denominazione (passata con lo stesso disciplinare dall’80 al 90% di sangiovese, con esclusione di tutti i vitigni internazionali), che corrisponde al 6% della produzione totale di vini certificati Docg. “Vogliamo rafforzare il legame tra l’unicità del nostro territorio – continua Manetti – e il vino, considerando che il sangiovese è una lente d’ingrandimento sulle sue peculiarità e dar loro valore sia a livello di immagine sia economicamente”. Probabilmente vedremo nel luglio del 2023 le prime Uga sul mercato. Entro il 2025 l’assemblea deciderà se estendere le Uga anche alla Riserva e all’entry level.
Nel 2022 sono circa 37 milioni le bottiglie di Chianti Classico Docg vendute per l’80% in 160 Paesi al mondo, con un trend di crescita anche in Paesi emergenti come Corea del Sud e Norvegia; gli Usa rappresentano invece il primo mercato.
Parola ai 5 top player
Delle complessive 13 tenute italiane Marchesi Antinori ne ha cinque in Chianti Classico, le quali si estendono per 400 ettari vitati e producono circa 1,5 milioni di bottiglie. La storia degli Antinori, che risale al 1385, è da sempre legata al Chianti Classico. “Nel 1716 – racconta la presidente Albiera Antinori – il mio antenato Antonio Antinori fu parte attiva nella definizione dei confini del territorio del Chianti Classico, voluta da Cosimo III de’ Medici, che la rese la prima denominazione di origine in Italia. Qui abbiamo voluto che sorgesse la cantina Antinori nel Chianti Classico, in omaggio alla nostra terra di origine”. In totale Marchesi Antinori esporta il 60% dei propri ricavi in 168 Paesi e raggiunge una produzione complessiva di circa 9,5 milioni di bottiglie. Il canale principale è l’Horeca, che rappresenta il 60% del fatturato, mentre la Gdo si attesta tra il 15-20 per cento.
“Crediamo nel potenziale del Chianti Classico – sottolinea Antinori – per questo abbiamo investito ultimamente a Gaiole e Castellina in Chianti, a cui si aggiunge il recente ritorno in famiglia di Villa del Cigliano. Il Chianti Classico è un territorio unico per tanti motivi (storia, tradizione, cultura e paesaggio) dove il sangiovese può raggiungere l’eccellenza qualitativa”.
Delle sei tenute toscane di Ruffino (altre due sono in Veneto), tre sono particolarmente significative per la produzione del Chianti Classico, ovvero Santedame, Gretole e Montemasso: 197 gli ettari vitati e una produzione di 2,5 milioni di bottiglie su un totale complessivo aziendale di 25 milioni. “Nel Chianti Classico – spiega Sandro Sartor, AD di Ruffino – la Riserva Ducale fa l’80% del fatturato del Chianti Classico ed è il nostro prodotto rappresentativo fin dal 1927”. Ruffino viene distribuito nel canale Horeca all’80%, il restante in Gdo. L’export è sopra il 90% con una presenza in 85 Paesi. “Il Chianti Classsico – continua Sartor – è l’asse centrale del nostro gruppo, lo produciamo dal 1857: il nostro legame con la denominazione è molto profondo. Il futuro è positivo, la denominazione è in salute e sta andando nella direzione giusta, alzando il livello qualitativo medio. Le Uga sono un percorso lungo, ma importante per far capire le specificità e le diverse sfaccettature territoriali, valorizzandone le diversità”. Tra le novità future ci sarà una revisione del brand Ruffino, con l’introduzione di un nuovo marchio che sarà sul mercato entro la fine del 2023.
A Castellina in Chianti, Cecchi ha le due tenute di Villa Rosa e Villa Cerna e la sede centrale. Gli ettari vitati di proprietà nel Chianti Classico sono 100. La produzione delle due tenute è di 110mila bottiglie, mentre quelle a marchio Cecchi sono 1,84 milioni. Le produzioni delle due tenute sono immesse solo nel canale Horeca. Cecchi, poi, possiede altre tre tenute, con una produzione totale che si attesta sugli otto milioni e mezzo. In generale, l’azienda distribuisce il 75% in Gdo, il resto in Horeca. “Siamo presenti nel Chianti Classico – spiega Andrea Cecchi titolare insieme al fratello Cesare – ancor prima della nascita della Doc nel 1967. Villa Cerna infatti è stata acquisita intorno al 1960, con la sua cantina di affinamento, la dimora storica del X secolo e la foresteria. Villa Rosa è stata invece acquisita nel 2015, un vigneto unico a sangiovese, per iniziare a produrre la Gran Selezione secondo criteri qualitativi. Siamo molto contenti dell’inserimento delle Uga, danno infatti ulteriore spessore e valore alla denominazione: nel futuro valorizzeranno le caratteristiche peculiari di ciascuna delle Uga”. Cecchi, con il totale di sei cantine, registra un export del 53% in 65 Paesi nel mondo.
La famiglia Ricasoli è legata al vino sin dal 1141. Il Barone Bettino Ricasoli, nell’Ottocento, mise a punto “la prima ricetta del vino Chianti”. I vigneti si estendono su 240 ettari, con una produzione di circa 1,4 milioni di bottiglie. Il canale di vendita preferenziale è l’Horeca, che pesa per un 95%, segue la Gdo con il 4% e infine l’e-commerce con l’1 per cento. L’export è dell’80% su 70 Stati. La crescita di fatturato è stata del +21% nel 2021, con una previsione del +22% nel 2022. “Dopo la zonazione fatta sul nostro territorio – spiega il presidente Francesco Ricasoli – nel 2007 ho realizzato il primo cru su terreni principalmente di alberese, poi nel 2015 sono nati altri due cru da depositi marini e terrazze fluviali. Credo che proseguirò con altri due cru nel futuro, se ne valuterò le condizioni ottimali. Sono sempre stato convinto delle potenzialità del terroir di Broilo: abbiamo dimostrato così la varietà e la personalità del sangiovese. Sono favorevole alle Uga, anche se sarà un percorso lungo, sono una dichiarazione che facciamo al mondo: il nostro territorio è cresciuto, vogliamo dare identità alle nostre differenze”.
La storia della famiglia Mazzei, giunta alla venticinquesima generazione operativa in azienda, è intrecciata a doppio filo con il Chianti Classico: fu Ser Lapo Mazzei, notaio, che per primo nel 1398 utilizzò in un atto ufficiale la parola Chianti. Castello di Fonterutoli con i suoi 110 ettari vitati ha una produzione di circa 800mila bottiglie. Con le altre due tenute fuori dal Chianti Classico, (Maremma e Sicilia), Marchesi Mazzei produce 1,3 milioni di bottiglie, suddivise per il 70% nel canale Horeca, 10% in Gdo e 20% vendita diretta (con un wine club online). L’export è al 70% in 70 Paesi. “Siamo tra le famiglie – dichiara Francesco Mazzei, titolare insieme al fratello Filippo – fondatrici del Consorzio di tutela, promotrici della Gran Selezione e delle Uga. Credo, come altri produttori, che le Uga faranno salire il percepito della denominazione e avremo delle ricadute positive nei villaggi. La nostra è una denominazione forte, di buon posizionamento e nota nel mondo, ben recepita ma a volte sottovalutata: invece raggiunge il livello dei grandi vini nel mondo”.
Di Alessandra Piubello