Mi aveva promesso che avrebbe fatto un miracolo, che avrei migliorato la mia condizione fisica, di salute. Che quella sonnolenza che avevo ogni mattina e che mi portava ad addormentarmi sul pc mentre lavoravo sarebbe passata. Il patto che avrei dovuto stringere, però, lo firmavo col diavolo. Una puntura a settimana per 6 mesi, “a rilascio lento”. Al contrario dell’insulina, le iniezioni di Ozempic per chi soffre di diabete vanno fatte una volta alla settimana perché il farmaco agisce a poco a poco e non crea dipendenza. O quasi.
Con questo farmaco (che oggi spopola su Tik Tok tra i ragazzi che vogliono dimagrire) avrei tenuto a bada tutta una serie di effetti collaterali legati all’esordio di una malattia subdola. Perché il diabete, specie quello di tipo 1 (che per i non addetti ai lavori è quel diabete autoimmune, legato cioè a un’alterazione del sistema immunitario, che porta a non produrre più insulina in modo autonomo) è una malattia che non si fa sentire. Non porterà il mal di pancia della gastrite, né il dolore alle tempie di una cefalea. Avrai qualche sintomo – e neppure sempre – e tutta un’infinità di patologie connesse in cui incappare, ma alla fine imparerai a conviverci.
Quando il dottor Vincenzo Provenzano – primario di Diabetologia dell’ospedale di Partinico (in provincia di Palermo) nonché presidente nazionale della Simdo (Società Italiana Metabolismo, Diabete, Obesità) – mi disse per quale motivo una coppetta di gelato alla fragola gustata a metà mattina come spuntino oppure un quadratino di cioccolato fondente al 70% dopo cena mi portassero a perdere lucidità, ad avere sempre sonno tanto da non riuscire a connettere la mia mente al mio corpo e perché il mio girovita continuava a prendere centimetri nonostante la dieta (e il gelato e il cioccolato mi erano stati permessi dalla nutrizionista) ho capito che la mia vita stava cambiando. E io dovevo cambiare con lei.
Esami alla mano, curve glicemiche dopo curve glicemiche, scoprii che nel mio futuro ci sarebbe stato un nuovo compagno di viaggio, un partner che accompagna anche altri “giovani adulti magri” come me (questa la definizione tecnica) perché in Italia e in particolar modo in Sicilia c’è una forte incidenza di diabete Lada (che è l’acronimo di “Latente Adulto Diabete Autoimmune”): una sorta di diabete autoimmune tipico dei bambini dove però il cannone che spara il colpo, colpisce e ammazza le cellule “beta” del pancreas è solo uno degli autoanticorpi (nel mio caso due) a fronte dei tre che sanciscono da protocollo la malattia. “C’è una buona notizia”, mi disse Provenzano. Perché nella fase iniziale, con questo tipo di quadro clinico, il giovane magro non è ancora insulino-dipendente (variante Nirad) e non è neppure ancora a tutti gli effetti malato.
Un sospiro. Mentre mi diceva che stavo per sposarmi quoad vitam senza possibilità di divorziare come da qualsiasi marito mettendo una semplice firma davanti a un giudice, mi carezzava il capo e diceva che, se trattato con i farmaci adeguati, l’esordio di questa malattia (che porta con sé la dipendenza totale dall’insulina) sarebbe addirittura potuto non arrivare mai. “Dipende dal nostro stile di vita, da tanti fattori, dalla nostra storia genetica. Che fortuna averlo scoperto adesso, giochiamo d’anticipo” continuava a dire. E intanto mi illustrava la soluzione.
La soluzione si chiama semaglutide. Una molecola, fino a quel momento a me sconosciuta, nota al mondo scientifico come Glp-1 (viene usata pure in alcune terapie contro l’obesità): si tratta di un ormone prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina inibendo quella di glucagone da parte del pancreas. Cose molto tecniche, ma anche molto intuitive. Ozempic in pratica regola il rapporto tra i due ormoni (insulina e glucagone) responsabile di tutto quello che porta a stare male. Il suo rilascio “lento” (ecco perché bucherellavo la pancia una sola volta alla settimana) avviene dopo il pasto ed entra in azione solamente quando la glicemia sale per effetto dei carboidrati introdotti col cibo.
Chiudo gli occhi, respiro, mi fido e mi affido. Il dottor Provenzano è uno dei massimi esperti in Italia in malattie metaboliche. In pochi mesi il mio corpo si sarebbe asciugato, eliminando quel grasso viscerale che mi portava ad avere altri problemi di salute su cui sorvolo. Mi suggerì di tenere un’agendina dove appuntare le mie misure. Ogni lunedì alle 11, una volta riposta in frigo la penna di Ozempic, prendevo il metro da sarta e scrivevo ogni circonferenza del mio corpo: seno, anche, coscia, polso, caviglia, avambraccio, polpaccio e via dicendo. Di fianco appuntavo i centimetri. Fu sconvolgente vedere come 4 mesi dopo le mie misure e il mio peso (già di suo non eccessivo, da brava giovane adulta magra appunto) si fossero ridotti e il mio girovita si fosse trasformato in un vitino di vespa. Allo specchio, 16 settimane dopo l’inizio della terapia, c’era una vera e propria silhouette.
Le ipoglicemie notturne o post-prandiali erano sparite. Le monitoravo con un holter, una specie di dischetto bianco con un aghetto sottocutaneo che avevo apposto sul mio braccio e che, collegato al cellulare, registrava su un’app la mia glicemia minuto per minuto. Stavo meglio. Il prezzo da pagare fu però altissimo: questo farmaco mi portò a rigettare il cibo, a non avere appetito, a convivere con un perenne stato di malessere fatto di nausea, crampi allo stomaco, reflusso e mal di testa. Non avevo più sonno, ma avevo tutto questo. Con il passare delle settimane, il mio corpo si abituò, ma gli effetti collaterali non passarono mai. Stavo facendo tutto questo per me, eppure ne avrei fatto volentieri a meno. Anche smettere non fu facile e neppure ricominciare di nuovo. Un loop che le paranoie e i pensieri ruminanti in confronto danno meno ossessioni.
Senza quel faro che è stato il mio medico non mi sarei mai sottoposta a un simile supplizio. Una volta per riprendermi da un pranzo con mozzarella e pomodoro più 50 grammi di pane ho dovuto attendere una settimana. Insomma, immaginare che oggi molte sprovvedute (e sprovveduti) lo usino per dimagrire velocemente mi fa credere che Umberto Eco, a proposito dei social e della legione di imbecilli, mica avesse così tanto torto. Se basta Tik Tok ad adunare un popolo di 350 mila seguaci pronti a bucarsi la pancia con un’iniezione sottocutanea tutte le settimane pur di raggiungere uno scopo (ovvero perdere peso) mettendo comunque a rischio la propria salute con questa leggerezza in nome di un bene supremo (le foto su Instagram dove si vede che la prova costume è stata superata a pieni voti) mi fa credere di vivere in un mondo sbagliato. Questo farmaco non è acquistabile senza prescrizione (e vorrei ben vedere), senza un adeguato piano terapeutico, è costosissimo (almeno 200 euro a penna) e può causare rischi se usato senza una regia.
Qualcuno si è addirittura preso la briga di lanciare l’hashtag #ozempichallenge, portando l’antidiabetico per eccellenza a diventare virale non solo in Italia ma anche tra le star di Hollywood. Un uso totalmente improprio di un farmaco delicatissimo che, cosa da non sottovalutare, rischia di far finire le scorte (infatti nelle farmacie già scarseggia) per chi ne ha davvero bisogno, per chi come me soffre di una malattia metabolica. Giovani a caccia di like, la cui unica gratificazione è lo specchio, disposti a qualsiasi sfida pur di curare la propria immagine, ignari del fatto che nel cervello si trova l’arma migliore per dimagrire (e per piacere). Lì sai che incetta di like. Una malattia è pur sempre un fatto privato, lo sdoppiamento della tua anima fragile: quello che ti spinge giù e poi ti fa risalire su grazie a scienza, medici illuminati e una buona dose di fortuna. Ma oggi ho sentito forte il bisogno di rendere pubblica questa esperienza. Cari dolcissimi tik toker, potreste dunque continuare a usare aforismi di Schopenhauer e i filtri per le vostre foto in costume? Che di quelli io non ne ho ancora bisogno.