Il venerdì nero in Borsa per Deutsche Bank non trova molto spazio sui media tedeschi, ma gli analisti finanziari in Germania non sono troppo tranquilli. Ecco perché. L’articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino
L’ondata di vendite che ha investito Deutsche Bank nel venerdì nero della borsa (non solo) tedesca occupa molto spazio sulle prime pagine dei giornali del fine settimana, ma non quello principale, conteso da due argomenti che in Germania rubano la scena. Uno politico: il programmato vertice domenicale di governo, giornata insolita, per provare a dirimere le troppe questioni che dividono i ministri e i partiti della maggioranza e ritrovare una linea comune per il prosieguo della legislatura. L’altro economico-sociale, con il grande sciopero (quasi) generale dei trasporti pubblici, destinato a paralizzare nel primo giorno della nuova settimana traffico aereo e ferroviario del paese e buona parte della mobilità urbana cittadina. Trovare un treno in partenza sui binari o cercare di arrivare in uno degli aeroporti risparmiati dallo sciopero lunedì prossimo è per il cittadino comune una preoccupazione più alta di quella del crollo delle azioni delle banche.
Così alla crisi bancaria e alle ripercussioni sugli istituti tedeschi, e su Deutsche Bank in particolare, spetta un’attenzione di seconda fila, riservata soprattutto nelle pagine finanziarie di giornali, notiziari online e telegiornali.
Per la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), le dichiarazioni di Olaf Scholz (“non c’è motivo di preoccupazione”) non sono servite a tranquillizzare nessuno e non hanno prodotto alcun effetto (sono apparse come “un fischio nella foresta” è il modo di dire letterale tedesco utilizzato dal quotidiano).
“Al termine di una settimana molto turbolenta sui mercati finanziari, Deutsche Bank è finita ancora una volta sotto i riflettori”, scrive nell’editoriale Inke Schönauer, capo della redazione finanziaria del quotidiano francofortese, “anche se apparentemente non ha nulla a che fare con il terremoto bancario negli Stati Uniti o con il matrimonio forzato delle due grandi banche Credit Suisse e UBS”.
Il problema è che l’istituto tedesco paga debolezze proprie: è il suo passato a metterla in difficoltà. Dopo tutto, ha ripetutamente attirato l’attenzione per il suo comportamento durante le crisi degli ultimi anni, riprende la Faz, quotidiano che ha sede nella piazza finanziaria tedesca e dove peraltro Deutsche Bank è di casa. È vero che l’attuale consiglio di amministrazione ha invertito la tendenza di una cultura aziendale disastrosa, “ma le crisi continuano ad avere effetto e Deutsche Bank viene punita anche in quanto rappresentante dell’intero settore bancario, strettamente legato ai rischi dei tassi di interesse”.
Le banche hanno a lungo implorato le banche centrali di alzare finalmente i tassi di interesse dopo tanti anni di “siccità”, osserva Schönauer, e questo è quel che sta accadendo adesso: “Ma la velocità dei rialzi dei tassi è elevata e può compromettere gravemente l’equilibrio dell’attività bancaria”.
La Frankfurter rileva poi come gli investitori siano nervosi anche per le notizie sull’indebolimento del mercato immobiliare commerciale negli Stati Uniti, e Deutsche Bank è molto attiva in questo settore. Nel frattempo, all’istituto tedesco spetta il compito di dimostrare la reale stabilità delle sue fondamenta aziendali.
Quanto alla sponda politica, la Faz conclude con uno sguardo al piano più alto: “Il cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato al vertice europeo che il modello di business della banca è stato riorganizzato, modernizzato alle fondamenta ed è molto redditizio, ma la prova della durata di queste affermazioni è ancora in sospeso”.
La Süddeutsche Zeitung enfatizza il momento del salvataggio della svizzera Credit Suisse. Ne parla di un momento tipo quelli che dividono la vita (in questo caso economica) in due parti, in un prima e in un dopo, come si è detto per alcuni eventi storici che hanno segnato svolte nei nostri tempi: la caduta del muro di Berlino o l’attacco terroristico alle torri gemelle. “Niente è in ordine”, intitola il proprio commento dedicato al tema il quotidiano bavarese, tradendo una certa nostalgia per una vecchia tradizione di disciplina tedesca forse perduta, e prosegue: “Dopo l’acquisizione d’emergenza del Credit Suisse, autorità di vigilanza e politici vorrebbero tornare al business as usual, come se nulla fosse accaduto, ma la regolamentazione del settore bancario è completamente nel caos e serve urgentemente una ripartenza”.
La Süddeutsche ricostruisce le turbolenze dello scorso venerdì e va alla ricerca delle cause. Una possibile ragione: i costi dell’assicurazione contro il rischio di insolvenza sono aumentati. Se gli investitori volevano assicurarsi contro il default di un’obbligazione della Deutsche Bank, negli ultimi giorni dovevano pagare molto di più, prosegue l’analisi del quotidiano. Per assicurare un investimento di dieci milioni di euro, a metà settimana erano necessari solo circa 140.000 euro, venerdì pomeriggio ne servivano più di 200.000: “Probabilmente anche molti investitori azionari hanno interpretato questo fatto come un segnale di panico: c’è qualcosa che non va alla Deutsche Bank?”.
Con un giro di opinioni tra analisti bancari, il quotidiano di Monaco allarga lo sguardo a quanto sta accadendo. Gli esperti di borsa valutano la situazione di Deutsche Bank come stabile, ma con una strategia debole. Nel settore dei clienti privati, la banca è in ritardo rispetto alle casse di risparmio, alle Volksbank e a ING Bank e nelle attività internazionali non svolge più un ruolo di primo piano. Christian Sewing, l’amministratore delegato della banca, ha recentemente raggiunto il suo obiettivo di rendimento dell’8% solo perché un effetto fiscale speciale ha giocato a suo favore. “Il calo del prezzo delle azioni non è un complimento alla strategia della banca”, dice alla Süddeutsche l’esperto di borsa Stefan Müller, “tuttavia, non bisogna trarre conclusioni sui fondamentali di Deutsche Bank dal calo del prezzo delle azioni”.
Allo stesso tempo, l’istituto tedesco non è considerato un buon modello per tutti gli esperti di borsa in termini di strategia aziendale. “Deutsche Bank e Credit Suisse, a differenza di altre grandi banche, hanno continuato a fare investment banking a livello globale”, osserva l’esperto di banche Dieter Hein della società di analisi Fairesearch, “e sebbene Deutsche Bank sia riuscita a tornare alla redditività dal 2020, i mercati finanziari si chiedono ora chi sarà la prossima grande banca debole a finire nei guai dopo Credit Suisse”. E così che la risposta incrocia la piazza di Francoforte: “Deutsche Bank è in prima linea, perché il suo modello di business non è considerato redditizio in modo sostenibile”, conclude Hein.
Il bisogno di spiegare (e anche di tranquillizzare) emerge dal tono dei servizi delle emittenti televisive e radiofoniche pubbliche. Così il telegiornale del canale Ard si affida a un’analisi degli esperti finanziari di Autonomous Research: “Siamo relativamente tranquilli, viste le solide posizioni azionarie e di liquidità della banca. Per essere chiari, Deutsche Bank non è la prossima Credit Suisse”.
Mentre la radio statale Deutschlandfunk intervista l’economista Veronika Grimm, che è anche membro del Consiglio degli esperti economici del governo tedesco (i famosi 5 saggi), la quale focalizza l’attenzione sulla vicenda svizzera e sul suo potenziale di infezione globale. “La crisi dell’istituto finanziario svizzero è piuttosto fatta in casa, la banca è in crisi da mesi”, ha detto Grimm, che ha poi sottolineato come “dei problemi fossero già sorti nel 2022”. È vero che i mercati sono attualmente instabili, ha proseguito Grimm, ma a differenza della grande crisi finanziaria del 2008, oggi le banche sono meglio equipaggiate con capitale proprio, meglio regolamentate e supervisionate dalla Bce. “Diventa particolarmente problematico quando le cattive notizie o le voci portano molti clienti a chiudere i loro conti, privando così la banca di molto capitale in breve tempo”, ha concluso Grimm, “e questo è esattamente ciò che ha causato il fallimento del Credit Suisse”.
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