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Incentivi auto, cosa pensano le Case estere del piano del ministro Urso

Il ministro Urso propone incentivi alla produzione italiana di automobili e all’acquisto di vetture elettriche. Si può fare? E i bonus già attivi stanno funzionando? Conversazione di Startmag con Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri)

Per risolvere il problema del crollo della produzione automobilistica in Italia – poco più di 440.000 unità nel 2021, contro i quasi due milioni del 1989 –, e per adeguare l’industria al nuovo contesto della mobilità elettrica, la soluzione portata dal ministro Adolfo Urso è una sola: incentivi.

URSO: INCENTIVI ALLA PRODUZIONE E ALL’ACQUISTO

Il ministro delle Imprese e del made in Italy ha dichiarato che il governo sta valutando “degli incentivi che, di fatto, in qualche misura, incentivino la produzione nazionale di autovetture”, e ha promesso anche un intervento sui bonus “rimasti utilizzati” per l’acquisto dei veicoli elettrici.

Urso, insomma, sembra voler dare stimolo sia alla manifattura che alle vendite, ma “quando si comincia a mescolare la domanda con l’offerta si fa confusione”, dice a Startmag Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri).

CARDINALI (UNRAE): GLI INCENTIVI ATTUALI NON SONO EFFICACI

“Quando si parla di incentivi, si parla di solito di un supporto all’acquisto rivolto ai consumatori o alle aziende. Ci sono già degli incentivi, che noi di Unrae abbiamo criticato più volte perché non sono efficaci. Lo dimostra”, spiega Cardinali, “la giacenza cospicua che abbiamo: sono avanzati 272 milioni di euro sulle fasce dell’elettrico puro e dell’ibrido plug-in”.

“Sono incentivi studiati male”, prosegue il direttore di Unrae, “e ora si pone il problema di dove riallocare gli avanzi del 2022 nello schema per il 2023, che è però identico a quello dell’anno scorso: quindi il problema non si risolve, semmai si ripropone. Le fasce da 0 a 60 grammi di CO2 per chilometro vanno sostenute”.

IL GOVERNO PUÒ INCENTIVARE LA PRODUZIONE ITALIANA DI AUTO?

“Se poi si vuole andare a incentivare la produzione nazionale di automobili, qui il terreno si fa delicato”, avverte Cardinali; “I trattati europei impediscono di incentivare le produzioni nazionali a discapito di quelle di altri paesi europei. Questo il ministro Urso lo sa benissimo, è evidente che non può avere in mente un intervento di questo tipo: non si può emanare un provvedimento per incentivare le vetture made in Italy, nonostante il nome del ministero”.

“Una cosa”, prosegue il portavoce di Unrae, “è mettere dazi sulle importazioni di vetture extra-europee, un conto è incentivare le automobili di produzione italiana: non si può fare, un’auto italiana non può venire privilegiata rispetto a una tedesca o francese”.

FARE PROTEZIONISMO, MA DI NASCOSTO

Esistono in realtà dei modi, già peraltro messi in pratica, per incentivare la manifattura italiana in maniera “surrettizia”, dice Cardinali, non palese.

Ad esempio – spiega – si può “lavorare sul tetto del listino oltre il quale non si ha diritto a incentivi. Il piano di incentivi 2019-2021, varato dal governo Conte I, aveva un price cap di 50.000 euro per tutte le fasce. Il governo Draghi, nel varare il piano 2022-2024, ha abbassato drasticamente il tetto per le auto elettriche pure a 35.000 euro: in questa maniera ha tagliato fuori più di metà dell’offerta di questo tipo di vetture, andando di fatto a ritagliare l’incentivo su misura per uno specifico modello di produzione nazionale”.

“Senza annunciare pubblicamente che si vuol fare protezionismo, lo si può fare lo stesso in maniera non trasparente attraverso un lavoro sulle specifiche tecniche”, conclude Cardinali. Che ritiene tuttavia necessaria una qualche forma di sostegno alla filiera automobilistica “in questo periodo di transizione energetica: ci sono soggetti di taglia media, alcuni di taglia piccola e micro, che non possono farcela con le proprie gambe. C’è bisogno di favorire la riconversione, la formazione e le aggregazioni, anche se alcuni operatori dovranno cambiare mestiere: non tutti potranno continuare a fare le marmitte o le pompe per il gasolio.

– Leggi anche: Auto elettriche, Unrae vede opportunità per l’occupazione (ma l’Italia arranca nelle immatricolazioni)

LA MOBILITÀ ELETTRICA PUÒ ESSERE UN’OPPORTUNITÀ, MA VA COLTA

“È vero che la transizione da un lato distrugge l’occupazione, ma dall’altro la crea: ci sarà sì chi dovrà cambiare lavoro, ma anche chi comincerà a costruire motori elettrici o batterie”.

Cardinali ricorda allora che “ci sono dei fondi che mettono a disposizione risorse importanti per la riconversione della filiera, ad esempio il Fondo automotive, che stanzia 8,7 miliardi di euro fino al 2030. Ci sono poi i fondi europei, i fondi di sviluppo, i fondi IPCEI: bisogna saperli usare. Quelli sono strumenti perfettamente legittimi. Siamo peraltro in un clima di rilassamento dei vincoli per gli aiuti di stato. L’Italia potrebbe approfittarne, se ne avesse la possibilità. Se però aspettiamo il 2026, sperando di spostare la data del 2035, i nuovi posti di lavoro non si creano e noi diventiamo veramente il fanalino di coda della transizione”.

Riferendosi al divieto europeo alla vendita di nuove automobili con motore endotermico dal 2035, il ministro Urso ha promesso proprio una battaglia senza “tregua” in vista del 2026, quando ci sarà la revisione della scadenza: il governo Meloni spera in un suo posticipo.

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