Chi è un leader? Secondo Jacinda Arden, 43 anni, primo ministro della Nuova Zelanda, un leader è «uno che sa quando è il momento di andare». Lei lo è, quindi, perché ha appena annunciato che lascerà il suo incarico il 7 febbraio, prima delle nuove elezioni del 14 ottobre. Era stata eletta nell’agosto 2017, cinque anni e mezzo fa, che però sembrano secoli se li misuriamo in termini di incendi e crisi climatica, economica, pandemia, terrorismo (l’attacco di Christchurch nel 2019), tutte emergenze che hanno toccato il Paese che governava.
Una decisione che stupisce e fa discutere per vari motivi.
Uno: è una decisione abbastanza inedita. Nel mondo politico attuale, praticamente nessuno rinuncia al potere e alcuni se lo prolungano in aeternum, vedi il cinese Xi Jinping, che si è autoprolungato il potere fino al 2027 e oltre, o Putin, al vertice in Russia dal 2000.
Due: la premier ha aggiunto che non ha piani precisi su cosa farà dopo. Poi ha aggiunto di non «vedere l’ora» di trascorrere di nuovo più tempo con la sua famiglia. «Probabilmente, sono quelli che si sono sacrificati di più», ha detto. E, rivolgendosi alla figlia di 4 anni e mezzo, e al compagno, con cui è fidanzata dal 2019, ha detto: «Per Neve, la mamma non vede l’ora di essere lì quando inizierai la scuola quest’anno, e per Clarke: sposiamoci finalmente». Sui social le persone hanno avuto due reazioni opposte: una di biasimo, che si può riassumere in “vittima del patriarcato, vuole fare la mamma e la moglie”, e una di sostegno, tipo: “anche lei sceglie la vita, non il lavoro, brava”, nel solco delle «great resignation» o del «burnout». In realtà lei aveva precisato: «non me ne vado perché è stato difficile, duro. Se fosse stato così, probabilmente avrei lasciato il lavoro dopo due mesi». E arriviamo al punto tre.
Tre: Jacinda Ardern ha motivato la sua scelta così: «Sono esausta. Non ho semplicemente più le energie per ulteriori quattro anni». Ci ricorda un tema centrale della politica, mai abbastanza considerato: la responsabilità. È una responsabilità rappresentare le istanze dei cittadini, è un impegno gravoso, e quando non si è più al 100 per cento, bisogna farsi da parte, e riconoscerlo. Ultimo politico che aveva fatto un ragionamento simile? Papa Ratzinger. «Avere un ruolo così privilegiato comporta responsabilità, tra cui quella di sapere in quale momento sei la persona giusta per stare al comando e anche in quale momento non lo sei», ha spiegato la Ardern.
Quattro: anche il modo in cui lo ha detto, commuovendosi, ha generato altro biasimo. Ha detto: «Sono umana». Ha pianto. Esempi illustri precedenti sono Elsa Fornero alle prese con l’annuncio della riforma delle pensioni nel governo Monti, o Theresa May alle dimissioni da Downing Street 10. Come loro è stata, ovviamente, criticata: in quanto donna che piange, quindi fragile, quindi inadeguata. Il patriarcato è duro a morire, anche in Nuova Zelanda.
Cinque: come dicevamo all’inizio, Jacinda Arden ci dimostra che esiste un diverso tipo di leadership, che si può essere forti senza mostrare i muscoli, sia che tu sia uomo sia che tu sia donna. Ha detto: «Spero di lasciare ai neozelandesi la convinzione che si possa essere gentili ma forti, empatici ma decisi, ottimisti ma concentrati». Aggiungo: che si può fare il primo ministro con il massimo impegno e poi scegliere di lasciare, punto.