Una delle cose più interessanti del genere horror risiede nella sua capacità di costruire, gradualmente o meno, la tensione e, infine, riuscire a scaricarla: insomma con l’horror è importante saperci giocare. Un regista cinematografico che si diverte moltissimo con la tensione adrenalinica e il suo rilascio catartico è Jordan Peele, autore premio Oscar, che rientra tra quello spettro di autori contemporanei che hanno reso il genere horror una cifra stilistica da modellare a proprio piacimento. In particolare Jordan Peele è bravissimo nel saper costruire lentamente, in maniera sottile e perfetta, un substrato tensivo di cui non abbiamo coscienza ma che esplode nei momenti inaspettati; allo stesso tempo Peele è bravissimo a distruggere tutto, a disinnescare la bomba (solitamente tramite battute o freddure dei suoi carismatici personaggi) per ricostruirla subito dopo.

Quello che succede in Junji Ito Maniac non è poi molto diverso se non per il fatto che, in generale, gli artisti nipponici, veri maestri nella costruzione di storie e ambientazioni horror, si prendono molto più seriamente dei colleghi americani. Junji Ito Maniac è una serie antologica di dodici episodi che raccoglie storie disturbanti troncandole sempre nei momenti di massima tensione (aka sul più bello). Non è importante sapere perché qualcosa sta succedendo, il motivo per cui ci sono delle teste volanti assassine che invadono la città oppure perché delle tombe ne infestano i quartieri: l’unica cosa che conta è disturbare. Non esistono jump scare né spaventose immagini sanguinolente – forse a causa di una produzione mal gestita dello Studio Deen – eppure nei racconti di Junji Ito è evidente il piacere di giocare con le paure, le angosce ma soprattutto con le repulsioni della società contemporanea.

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Per chi non lo conoscesse, Junji Ito è considerato uno dei mangaka più influenti e da poco tempo è stato riscoperto anche in Italia. Le storie di Ito si concentrano sulle nevrosi della società giapponese degli anni ’80/’90 dilaniando il racconto al punto tale da prendere una deriva catastrofica e apocalittica. Per conoscere meglio il lavoro e l’immaginario di Junji Ito rimando all’interessante approfondimento che ne fa Tonio Troiani su Fumettologica.

I protagonisti di Junji Ito Maniac sono risucchiati in una spirale discendente di delirio psichico fino al disfacimento di se stessi. Nessuno chiede salvezza nel mondo di Ito sebbene, purché la ricercasse, non riuscirebbe a ritrovarla se non nelle trappole orrorifiche dell’esistenza. Ogni episodio accoglie lo spettatore con un’intro psichedelica e grottesca che riesce a fare il suo dovere: tenere incollati allo schermo aspettando di saperne di più, nonostante il fatto che per la maggior parte del tempo ne sapremo sempre meno. La maggior parte degli episodi è costruita in modo quasi punitivo per chi li guarda, lasciando sempre la frustrazione di non sapere ma, travalicando questa infantile insoddisfazione, capiamo che il nucleo dell’antologia è il piacere della paura fine a se stesso. Junji Ito Maniac gioca con i punti nevralgici delle nostre paure ancestrali distruggendo, allo stesso tempo, i capisaldi del pensiero positivo, i rifugi dalla paura: la famiglia, i bambini, il gelato, gli animali e così via.

Junji Ito Maniac, la ricetta di un disastro

Parlare di disastro sarebbe troppo catastrofico rispetto alla potenza delle storie di Junji Ito, infatti credo che la confusione creata dalla serie si strutturi su diverse problematiche collegate allo Studio Deen. Le storie, per quanto interessanti e grottesche si perdono nell’oblio di un’animazione senza mordente, assolutamente non all’altezza delle opportunità offerte dalle narrazioni.

Tra gli episodi più belli L’autobus dei gelati (02), Palloncini appesi (03), I lunghi capelli in soffitta (05), Muffa (06), La città delle lapidi (07), Strati di terrore e Oggetti trascinati a riva (08), Labirinto insopportabile (10) e La donna che bisbiglia all’orecchio (12). La maggior parte dei dodici episodi accorpa più storie all’interno e consiglio di maneggiarle con cura, non ricorrendo alla solita abbuffata; inoltre raccomando vivamente di non skippare da un episodio all’altro ma di aspettare i post titoli di coda. A parte l’animazione, le storie di Junji Ito sono da prendere con rispetto, da analizzare, da assimilare, perché nella superficialità della rappresentazione viene custodito il cuore pulsante di storie che giocano con paure comuni senza lasciare che esse possano sfogarsi, ed è questo a renderle estremamente pericolose.

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Benedetta Vicanolo