Il 9 gennaio 1448, in piazza Sant’Ambrogio a Milano, si tenne la prima lotteria della storia italiana. Una curiosità che ci riporta con la mente alla fine del Quattrocento, in una fase di crisi economica. L’inventore del nuovo gioco fu Cristoforo Taverna, un banchiere milanese. E la lotteria riscosse un grande successo per due semplici motivi: offriva ai cittadini più modesti la possibilità di aspirare ad un premio e invitava i giocatori a supportare il paese in un momento di difficoltà.
L’idea del giovane banchiere aveva infatti il fine di favorire la ripresa delle esangui casse della Aurea Repubblica Ambrosiana, allora in guerra contro Venezia. E tra le varie conseguenze della recessione ve ne era una abbastanza scontata: la gente preferiva custodire i propri risparmi a casa – e spenderli nell’acquisto di fortunati biglietti – piuttosto che investirli negli affari. Una situazione ottimale per permettere ad un gioco simile di prendere la scena.
Breve storia della lotteria in Italia e non solo
Ma non fu quello italiano il primo episodio noto. Una Lotteria con vendita di biglietti e premi in denaro si svolse infatti a Bruges il 24 febbraio 1466. Fu organizzata dalla vedova del pittore fiammingo, Jan van Eyck a favore dei poveri. In seguito, intorno al 1520, il re di Francia, Francesco I, legalizzò ufficialmente il gioco con un editto. Nello specifico egli autorizzava l’organizzazione del gioco in cinque “ruote”, nome con il quale venivano indicate le urne contenenti i biglietti da estrarre.
Nel 1566 le lotterie si diffusero anche in Inghilterra e nel 1567 vennero autorizzate dalla regina Elisabetta I, con lo scopo di raccogliere fondi per la riparazione di cinque porti inglesi. Inizialmente a scopi benefici o di pubblica utilità – proprio come nel caso del modello italiano – divennero presto fonte di lucro. Iniziarono dunque i sospetti che si trattasse di operazioni truffaldine, che avrebbero danneggiato chi vi partecipava.
La trasformazione del gioco, una doppia faccia tra benefici e pericoli
Il passaggio da gioco per scopi benefici o di riscatto sociale, verso il concetto di gioco d’azzardo, con le sue sinistre insidie, fu quindi piuttosto breve. Ed è in questa accezione che il ‘’tentare la fortuna’’ viene interpretato nell’inquietante racconto di Shirley Jackson, comparso nel 1948 sul New Yorker e intitolato per l’appunto La Lotteria. La breve storia narrata dalla scrittrice comincia in un’atmosfera calma, tranquilla, per poi degenerare in una serie di eventi violenti e paurosi.
I protagonisti sono gli abitanti di un piccolo villaggio, affaccendati nella preparazione di una Lotteria che riserverà loro una macabra sorpresa. In questo caso il gioco d’azzardo diventa un espediente narrativo utile, per mostrare il male insito situazioni apparentemente normali e al contempo il lato peggiore degli esseri umani.
‘’Ho saputo” disse Mr Adams al Vecchio Warner accanto a lui “che nel villaggio su a nord parlano di lasciar perdere la lotteria”. Il Vecchio Warner sbuffò. “Pazzi scatenati” disse. “Se stai a sentire i giovani, non gli va bene niente. Manca poco che vorranno tornare a vivere nelle caverne, nessuno più che lavora, e prova a vivere così per un po’. Una volta c’era un detto, “Lotteria di giugno, spighe grosse in pugno”. In men che non si dica mangeremmo tutti erba bollita e ghiande. Una lotteria c’è stata sempre” soggiunse stizzito. ”Va già male vedere il giovane Joe Summers che sta lì a scherzare con tutti”. ‘‘In certi posti le lotterie hanno smesso di farle” disse Mrs Adams. ”Ne avranno solo guai” disse risolutamente il Vecchio Warner. ”un branco di giovani scemi”.
Shirley Jackson, La lotteria, p. 22
Alessia Ceci
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