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L'auto elettrica cinese ora deve correre da sola, Pechino smette di spingerla con gli aiuti

Dall’Oriente stanno per arrivare tantissimi marchi sconosciuti agli europei. Ma il governo cinese ha deciso di interrompere i finanziamenti a pioggia a favore dell’auto elettrica “made in China”. Fatti, numeri e approfondimenti

La scacchiera è pronta e le pedine stanno per muoversi. La Cina prepara questa partita della mobilità elettrica da anni, prima accaparrandosi le principali fonti di terre rare del pianeta, nell’ultimo periodo dominando porti e mari occidentali. I vertici del partito comunista intendono fare del Dragone uno dei maggiori – se non il principale – produttori di auto elettriche del mondo e per riuscirci hanno preparato il terreno per tempo, con finanziamenti a pioggia e tagli di tasse che hanno spinto i principali colossi economici della nazione ad aprire filiali ad hoc dedicate al nuovo business, ma anche incentivando la nascita di migliaia di startup hi-tech in incubatori, acceleratori e università.

PECHINO NON METTE PIU’ SOLDI

E adesso, appunto, che la partita per il dominio globale sta per cominciare, Pechino ha deciso di chiudere i rubinetti: il pasciuto comparto della mobilità elettrica, finanziato (drogato?) con immani quantità di soldi pubblici che in più di un’occasione hanno favorito anche ruberie e malversazioni (su tutti, il tentativo di Evergrande di reinventarsi da palazzinaro a casa automobilistica), dovrà correre da solo. Anche perché l’economia cinese non è uscita bene dalla crisi pandemica come ipotizzato in un primo periodo: giù il PIL, mancati gli obiettivi di produzione e le politiche zero-Covid hanno di fatto bloccato Shangai. Quindi nell’aria c’è pure odore di spending-review.

IL MERCATO DELL’AUTO ELETTRICA CINESE IN NUMERI

Ma, soprattutto, la Cina ormai è consapevole di essere l’autofficina del mondo. E l’America con l’IRA di Biden non può che inseguire. Negli ultimi 12 mesi, secondo i dati provvisori, BYD ha prodotto 1.857.379 vetture inseguita da Tesla che, a causa dei numerosi stop’n’go anche per potenziare le linee di Shanghai, si è fermata 710.865 veicoli elettrici. Volkswagen lontanissima ha sfornato appena 155.700 auto, tallonata da Neta a 152.073 vetture mentre NIO ha raggiunto le 122.486 auto elettriche, praticamente pareggio con Xpeng che ha totalizzato 120.757 veicoli nuovi di zecca, Leapmotor ha toccato le 111.168 vetture e sotto le centomila unità troviamo Zeekr (71.941 modelli) e un’altra tedesca: BMW (41.886 vetture).

Nel 2022 sono arrivati in strada 5,365 milioni di veicoli a batteria (+81,6%), 1,518 milioni di ibridi plug-in (+151,6%) e 3.000 mezzi a idrogeno a celle a combustibile (+112,8%). In totale, le vendite di questi esemplari hanno raggiunto un quarto (25,6%) di tutte le vendite di automobili, civili e a uso commerciale, nel Paese asiatico, contribuendo a far crescere il mercato automobilistico cinese del 2,1%. Le esportazioni dalla Cina nel 2022 hanno totalizzato 679.000 “NEV”, poco meno del 10% dei veicoli elettrici prodotti e venduti nel Paese ma, secondo la CAAM, in netto aumento (+120%) rispetto al 2021.

CHE SUCCEDE ORA AL MERCATO CINESE?

E adesso che Pechino chiude i rubinetti, i marchi dovranno fare da sé. Tesla per esempio ha deciso di aggredire il mercato con un incentivo all’acquisto di 10.000 yuan (circa 1.400 euro) e ha contestualmente tagliato i prezzi di listino elle auto dal 6% al 13,5%. Una mossa che potrebbe comunque essere inutile secondo alcuni analisti. “Il mercato rimarrà estremamente debole prima del Capodanno cinese”, ha dichiarato alla testata specializzata autonews.com Cui Dongshu, segretario generale della China Passenger Car Association (CPCA), facendo riferimento alla settimana di festa, una delle maggiori ricorrenze annuali della Cina, che inizia il 21 gennaio. E poi c’è il tema del Covid, che pare fuori controllo e che potrebbe spingere gli acquirenti alla cautela. Una situazione che, a sorpresa, potrebbe fare male soprattutto ai marchi occidentali presenti nel Paese asiatico.

La Cina continua infatti a essere cruciale per le principali aziende tedesche del settore, come dimostrano i recenti maxi investimenti di Bosch. Ralf Brandstaetter, consigliere di amministrazione del gruppo automobilistico tedesco Volkswagen, di cui è responsabile per il mercato cinese, piazza che acquista il 40 per cento della produzione del marchio di Wolfsburg, ha recentemente dichiarato che  “la Cina cambierà le sue relazioni con il resto del mondo, ma il disaccoppiamento non può essere la soluzione”. Questo perché VW teme un cambio unilaterale nelle relazioni industriali tra Berlino e Pechino per ridurre la dipendenza dell’economia tedesca dalla Cina. Come ricorda il quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, nel 2022, il settore automobilistico della Germania ha venduto 21 milioni di auto in Cina, “più che in qualsiasi altra parte del mondo”. Per questo per Brandstaetter è molto importante “rimanere presenti e continuare ad avere successo”.

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