«Senza la gestazione per altri (Gpa), Luca e Alice non sarebbero al mondo. E sarebbe un peccato, perché sono due creature meravigliose». Michele Giarratano, avvocato e attivista, è un papà innamorato dei suoi due bimbi di 9 e 7 anni, nati dopo un percorso lungo e complesso, intrapreso e portato avanti insieme al marito, Sergio Lo Giudice, ex senatore.
Vivono a Bologna, «una realtà particolarmente accogliente e preparata, su tutti i livelli. Basti pensare che nei corsi per insegnanti ed educatori organizzati dal Comune ci sono specifici moduli sulle varie realtà familiari», ci spiega. «Luca e Alice sono bambini molto amati in ogni contesto, e la nostra è una famiglia come tutte le altre. Però non tutte le realtà italiane sono ugualmente accoglienti, e si inizia a respirare sempre più un clima di intolleranza».
Come è nata la vostra famiglia?
«Io e Sergio ci siamo conosciuti a Bologna nel 2006 e abbiamo subito iniziato la nostra relazione. Nel 2011 ci siamo sposati a Oslo, in Norvegia, alla presenza dei nostri amici e familiari. Il mio desiderio di genitorialità è sempre stato molto forte: l’ho sentito fin dall’adolescenza. Quando è iniziata la mia relazione con Sergio ho condiviso questo desiderio con lui, che ha qualche anno più di me e non si era mai immaginato come genitore, fino a quel momento. Il mio desiderio di genitorialità è stato accolto ed è diventato un desiderio condiviso, di coppia».
Come avete fatto a concretizzarlo?
«Ci siamo iscritti all’associazione Famiglie Arcobaleno e abbiamo iniziato a confrontarci con i pochi che avevano già affrontato quel percorso e a raccogliere informazioni».
Un percorso impegnativo.
«Sì. Ancora oggi in Italia per una coppia dello stesso sesso la genitorialità è un percorso faticoso, che va pianificato e perseguito con determinazione perché pieno di difficoltà di vario tipo, a partire da una legislazione nazionale contraria o dai costi non alla portata di tutti (la spesa supera i 100.000 dollari, fra costi sanitari a pagamento, agenzia, avvocati, assicurazione, clinica fertilità e rimborso per la gestante, ndr). Allo stesso tempo è un’avventura emozionante, perché ti conduce in un territorio ancora poco esplorato. Quel percorso tanto lungo e complicato si è concluso nel maggio del 2014 con la nascita di Luca e poi, ancora, nell’ottobre del 2016 con quella di Alice, e ci ha imposto di riflettere a lungo sia sul nostro desiderio di genitorialità sia sulla gestazione per altri stessa, prima di intraprendere il “viaggio”. Poi ci ha fatto mettere in gioco e in discussione di continuo, crescere umanamente perché lo abbiamo fatto prima singolarmente, poi come coppia e ancora insieme alla donna generosa che ha portato avanti le due gravidanze e alla sua famiglia».
Come avete scelto la donna che ha portato avanti la gestazione?
«In realtà ci siamo scelti a vicenda: ci siamo incontrati e ci siamo piaciuti subito, fin dal primo istante, ed abbiamo capito che avremmo voluto fare insieme questo percorso che poi ha portato alla nascita di Luca. Per Alice, in modo naturale, abbiamo ripetuto insieme il viaggio: né noi né lei e la sua famiglia avremmo voluto ripetere questa esperienza con altri».
Che rapporto avete con lei?
«Con K. e la sua famiglia abbiamo tuttora un rapporto costante. Luca e Alice sanno che sono nati dalla sua pancia e che è la persona speciale grazie cui sono nati, un’amica di famiglia che vive lontano con suo marito e le sue figlie, e che speriamo presto di andare a riabbracciare, adesso che sembra in via di definizione la pandemia».
Se fosse stato possibile, avreste valutato anche un’adozione?
«Sia io che Sergio saremmo stati contenti di poter adottare, ma credo che le due cose non vadano sovrapposte o contrapposte. Per noi il legame genetico con i figli non ha mai avuto molta importanza, ma ci possono essere persone per cui questo aspetto è importante, e va rispettato».
I vostri bimbi sono stati riconosciuti come figli di entrambi?
«Quando siamo rientrati in Italia, Luca e Alice, che come cittadini americani avevano due padri e dunque due genitori, si sono ritrovati per anni ad avere me soltanto come genitore legale. Questo non ci ha impedito di essere una famiglia, ma certo ci ha creato diversi disagi burocratici, fino a che non abbiamo ottenuto l’adozione in casi particolari di Sergio dei bimbi dal Tribunale per i minorenni di Bologna. È surreale e triste dover adottare i propri figli ma, ad oggi, l’adozione rimane la via più certa per la tutela delle famiglie omogenitoriali, a cui è impedito procedere in via amministrativa anagrafica, come abbiamo visto in questi giorni».
Se Luca e Alice non fossero stati riconosciuti come vostri figli, a che cosa sarebbero andati incontro?
«Per anni io ho vissuto nel terrore che mi potesse accadere qualcosa e che i bimbi si ritrovassero orfani, adottabili, perché per loro in Italia Sergio non era nessuno. Questo mi spaventava più di tutto. Ma poi c’erano i problemi burocratici legali quotidiani: io ero l’unico genitore per lo Stato italiano, e dunque l’unico a decidere per loro in caso di malattia, l’unico a firmare ogni documento, l’unico che potesse prendere decisioni importanti. Nella vita di tutti i giorni i bimbi avevano due genitori, ma lo Stato ne cancellava uno, lo rendeva invisibile».
Che cosa ne pensa della gestazione per altri?
«Non conosco tutte le realtà in cui è permessa la gestazione per altri: anche come avvocato che si occupa di questi temi, ho clienti che si rivolgono principalmente a Usa e Canada. Posso immaginare che ci siano luoghi in cui la Gpa non sia sempre etica, in cui manchi un controllo serrato dell’autodeterminazione delle donne e del fatto che non ci sia, anche indirettamente, sfruttamento. Proprio per questo credo che la Gpa vada regolamentata, perché questo consente di far sì che questa tecnica di procreazione medicalmente assistita avvenga in modo limpido, con il rispetto di tutte le parti coinvolte, come succede negli Usa o in Canada e sicuramente in altri Paesi. Penso che bisognerebbe parlarne di più e meglio, cercando di capire quali siano gli aspetti più controversi e sciogliere i dubbi: in fondo basterebbe anche solo ascoltare la voce delle donne meravigliose che hanno deciso di partorire per altre/i per consentire a nuove famiglie di nascere o allargarsi».
Che cos’è che rende tale una famiglia?
«Come si diceva nel film Disney Lilo & Stitch, “Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”. Famiglia non è un insieme di persone legate da vincoli genetici, ma un luogo in cui ci si prende cura l’uno degli altri. L’associazione Famiglie Arcobaleno dice che “è l’amore che crea una famiglia”. È così, ma non basta: una famiglia ha bisogno anche di avere tutele. E le tutele devono arrivare dallo Stato, mentre invece questo Governo spinge a toglierle, decidendo quali siano le famiglie e i bambini meritevoli di salvaguardia, e quali no. È qualcosa di aberrante, ma non stupisce, visto l’attuale governo e le posizioni sui diritti civili e delle persone».
Che cosa si augura per i suoi figli?
«Mi auguro che Luca e Alice possano vivere in un Paese in cui le identità individuali, le condizioni personali, i propri progetti di vita possano essere considerati ugualmente legittimi e degni di riconoscimento pubblico. Spero dunque che i miei figli possano vivere in un contesto più accogliente e meno faticoso in quello in cui io, Sergio e tutti gli altri genitori ci siamo trovati a vivere e a condurre le nostre battaglie di libertà».
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