Con il Vol. 4, disponibile dal 10 marzo, Nesli conclude una storia musicale iniziata più di dieci anni fa. Ce ne parla in questa intervista a cuore aperto.
Era il 2009 quando veniva pubblicato il primo volume di quella che sarebbe diventata un’autentica saga discografica. Un testamento musicale che oggi arriva all’ultimo atto con il volume quarto, disponibile in digitale dal 10 marzo. Nesli conclude così un percorso denso, intenso, sudato e autentico nel segno di una libertà che non è solo uno slogan ma che è praticata giorno per giorno. E, proprio per questo motivo, regala e sottrae, fa cadere e rimette in piedi.
‘Nesliving Vol. 4 – Il Seme Cattivo’ è un corpus di ben ventidue tracce, scelta che conferma l’‘assolutezza’ del disco in senso etimologico, ovvero ab-solutum ‘sciolto’ da qualunque briglia. E quindi libero. Una scelta che in tempi di streaming è una sfida a se stessi e una richiesta di impegno a chi ascolta. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Francesco che ci ha raccontato il progetto e il suo modo di vivere la musica oggi.
La saga ‘Nesliving’ all’atto finale.
La saga continua, scavallando anche la più consueta struttura a trilogia Qual è il percorso che sottotraccia corre dalla prima canzone di ‘Nesliving Vol I’ all’ultima di questo lavoro?
La saga continua e finisce allo stesso allo stesso tempo. Credo che il comune denominatore sia il fatto che nasce con la formula del mixtape, quindi la prerogativa è che fosse libero e svincolato da qualunque dinamica o logica. Poi, come hai detto tu, essendo un percorso di dieci anni, immagina anche quanti possano essere stati i cambiamenti… Il primo e l’ultimo brano sono diametralmente opposti da quel punto di vista, anche se pensandosi adesso ‘Nesliving Vol.1’ uscì soltanto in download su hano.it, un portale di musica rap. Ora, il Volume 4, esce solo in digitale: quindi, in qualche modo, il comune denominatore è la libertà assoluta nel concepirlo, ieri come oggi. Allora come adesso, è mosso dalla volontà di metterci dentro tante canzoni, un periodo abbastanza lungo di vita. È un concept album senza il vincolo del trovare per forza il singolo per la radio. E dentro ci sono tante sfaccettature di questo periodo musicale, c’è tutto.
Tra l’altro, per arrivare a questa pubblicazione, hai percorso un itinerario di avvicinamento lanciando in digitale i volumi che ancora non erano disponibili. Quali cassetti del passato hai riaperto e da dove invece sei partito per ‘Il Seme Cattivo’?
È stato un po’ una chiusura del cerchio e con l’uscita di questo quarto volume c’è tutto il mio piccolo e definivo un testamento musicale. Volevo che i dischi che mancavano fossero disponibili, anche perché Spotify è sicuramente una vetrina. Ma vuole anche essere un modo per catalogare e archiviare in maniera pubblica la tua musica. ‘Ego’ è veramente un disco di tantissimo tempo fa e può suonare strano proprio per qualità, ma mi piaceva che ci fosse la cronologia di tutta la mia musica. ‘Il Seme Cattivo’, va a concludere un percorso musicale ricco, intenso e turbolento allo stesso tempo. Io dico che è l’ultimo disco perché, avendo avuto questa epifania del voler intraprendere un nuovo percorso da autore, non mi vedo in futuro a fare un altro album. Almeno, non mi immagino ora, quindi questo volume l’ho un po’ concepito con quel peso.
“Queste canzoni raccontano un periodo molto lungo e intenso della mia vita”, prosegue Nesli. “E poi si tratta di ventidue tracce, quindi ho detto davvero tanto, ho detto tutto in undici album. Questo è l’ultimo disco che immagino di fare. Adesso, mi piace più l’idea di scrivere per altri anche per rendere le canzoni un po’ più libere. Oggi, secondo me, se fai un album sei un po’ incatenato mentre scrivere per altri lascia paradossalmente più libertà”.
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Suona davvero come un paradosso.
Sì, perché sei libero. È come nella recitazione: un attore che recita ruoli diversi non è i ruoli che recita ma da ognuno trae un’esperienza. Se tu scrivi per te stesso, almeno così è nel mio caso, per quanto puoi immaginare o fantasticare scrivi di te e della tua storia. Non sono il tipo che per me scrive cose fantastiche o non successe. Invece, per una voce diversa posso immaginare di più. Inoltre, hai già un’identità, mi è capitato un mare di volte di non voler dire una certa frase perché già detta o perché non adatta al mio personaggio. Quindi alcune cose non avrei potuto dirle come volevo. Ho una parte privata che è molto differente dal mio lavoro, e non puoi sempre far coincidere le due cose. Scrivendo per altri sono anche più libero.
L’impegno di un ‘seme cattivo’
In un tempo come quello di oggi, di ascolto disordinato per non dire disattento, che cosa significa proporre un album di ventidue canzoni?
Allora, per me è stato complicatissimo, difficile. È stato proprio stato immersivo anche per quello dico che è l’ultimo! È stato davvero veramente faticoso scriverlo per tanti aspetti a partire dal fatto che ho messo dentro tanto. Sono tornato a produrre io, a dirigere, a chiamare i ragazzi per le collaborazioni e a curare la direzione artistica. Anche quello ha contribuito a rendere il quarto volume bello e affascinante, mi mancava quella parte. Però comunque è stato complicato. In più ho voluto fare due dischi in uno e considera che quasi tutte le tracce le ho scritte e riviste almeno tre o quattro volte. Stessa cosa per il suono, lavorato e rilavorato.
E che tipo di impegno chiede a chi lo ascolta?
Come si pone nei confronti di un ascoltatore? Credo che un album di questo tipo sia un atto un po’ rivoluzionario, per me in primis perché anche il mio stesso modo di ascoltare la musica è cambiato. Non ascolto più la musica come prima: ne ascolto meno ed è difficile che senta una canzone per intero, figuriamoci un album. È un’abitudine che mi dispiace aver persa e l’ho persa, come tutti gli altri, per il sistema. La cattiva abitudine è diventata un’abitudine per tutta una serie di motivi, giusti o sbagliati che siano. Ma l’ascolto tradizionale mi manca e penso sia così per tante persone, quindi mi sono imposto di ascoltare il mio disco di ventidue tracce anche per riportarmi a una certa soglia di attenzione. Perché, come con la palestra, se tornassero a uscire dischi di nuovo con pezzi da quattro minuti, oggi se scriverebbe male. Domani si scriverebbe che si è una cosa da pazzi. Tra una settimana si sarebbe già tornati a quel mood di ascolto, perché l’essere umano si abitua a tutto. L’essere umano si è abituato anche a vedere i video della guerra, che fa schifo, vuoi che non si abitui a una canzone?
“Tornare ad ascoltare un album per intero è un’abitudine che si può riprende in fretta, volendo”, continua Nesli. “Quindi lancio questa sfida tanto uno può fare comunque come gli pare e può ascoltare quel che vuole. La mia la direzione è un invito per quanto ciascuno, oggi, della musica fa veramente quel che vuole ma almeno io, in queste ventidue tracce, ho avuto lo spazio per raccontarti tutto”,
La pratica della libertà
Il tuo percorso e quello che stai dicendo mi confermano come la tua sia una libertà praticata e non solo annunciata come spesso si sente. Quanto quest’attitudine ti ha dato ma anche tolto?
È, verissimo e molto interessante questo tuo punto di vista. La libertà è una prigione e nella prigione, in qualunque modo la si metta, siamo fottuti. Nel senso che è un po’ la natura umana quella di cercare sempre quello che non hai e ha anche dei risvolti positivi perché ti spinge oltre. Ma ti spinge oltre in tutto, nel bene e nel male. La libertà è un valore che mi hanno insegnato fin da bambino i miei genitori, inteso come libertà individuale, di pensiero e di movimento. E, magari, l’ho presa un po’ troppo alla lettera cercando di farla sempre mia, a volte sbagliando. Quel senso di libertà e di ribellione ti porta anche a non concludere le cose, a non vederle nel modo giusto perché, a volte, il modo giusto te lo dà solo il tempo. Se tu fai tutto di fretta, probabilmente aumenti il rischio di errore.
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È cambiato il tuo rapporto con la libertà, quindi?
Sì, prima ero meno libero cioè il mio percorso di libertà, a un certo punto, mi ha portato a voler vincolarmi un po’ e a stare sotto determinate dinamiche diverse da me. Ma perché speravo che quelle mi dessero un margine di crescita. Ho pensato: “ho sempre fatto quel che volevo, forse è il momento di crescere”. Quindi, anche nel lavoro, ho cercato dinamiche professionali lontane da me con la speranza di apprendere. Ma quando ho scelto di limitare la mia libertà è stato il periodo in cui ho fatto le scelte peggiori perché non ero io In questo senso, quindi, la libertà è anche sinonimo di credere in qualcosa, di pensare e di esprimere quel pensiero. C’è un sacco di tensione nell’aria, in ogni forma, e non rende liberi perché porta le persone a essere ansiose.
“È un altro paradosso del mondo di oggi: pur essendo in un’epoca che ha tutti gli strumenti e tutta la libertà per raggiungere ogni cosa, la mente umana si sta imbruttendo. Da qui, anche il malessere di tanti, tantissimi giovani. Quindi dico che la libertà deve essere quella di cercare un’altra via, di cercare il tuo posto nel mondo”.
‘La fine’ a Sanremo e il futuro di Nesli
A Sanremo 2023 Lazza e Emma con Laura Marzadori hanno portato una versione de La Fine. Come ti ha fatto sentire essere ‘coverizzato’ su quel palco?
È stata una figata pazzesca! Io avevo già elaborato dentro di me l’idea di smettere fare il cantante, dopo undici album e aver detto tanto. E questo processo mentale mi ha generato grande entusiasmo con la voglia di iniziare cose nuove alla luce di ciò che mi lascio alle spalle. Vedere Lazza, artista della nuova generazione, cantare La Fine che è un classico ma contemporaneo mi ha dato una grandissima soddisfazione. Mi ha fatto vedere il bicchiere mezzo pieno.
Ma vogliamo dire qualcosa alla Rai che, imperterrita in tutte le comunicazioni, ha attribuito il brano a Tiziano Ferro?
Ti dico la verità, non me la sono presa. A Tiziano, pur non conoscendoci, voglio un grande bene e indirettamente gli devo molto, quindi va bene che dicessero quello che vogliono. Sanremo, poi, è uno show di livello veramente altissimo ma alla fine capita di tutto. Pensa al gobbo che non c’era per Eros Ramazzotti o al microfono di Fasma, possono accadere cose molto ingenue. E lo dico non lavorando per la Rai, eh, però ho elaborato la questione, è un problema loro, né mio né di Tiziano. Rivendicarne la paternità dici? Forse, ma La Fine parla di me in ogni sillaba, è la mia carta d’identità, c’è la mia faccia, La Fine sono io. Dicano pure quello che vogliono, non mi dà fastidio perché la fortuna di quel brano, per me, ha già dato. L’esibizione, poi, è stata pazzesca, Lazza è stato bravissimo. Da ora in poi oltre a quella di Nesli e di Tiziano ci sarà la versione di Lazza e sta roba è una figata.
Ma sul palco di Sanremo torneresti?
Come autore magari, mi impegnerò perché accada. Poi, mai dire mai nella vita. Cioè se il disco o un singolo sbancassero oppure un direttore artistico mi chiamasse, io sono super fan del festival, anche in tempi non sospetti. E lo dimostra il fatto che ci sono andato in tempi in cui il mio genere non vi aveva ancora messo del tutto piede; quindi non si era ancora prontissimi. Però dico sempre come Marty McFly che un giorno “ai vostri figli piacerà”.
‘Il Seme Cattivo’ avrà anche una vita live?
Senza grandi ipocrisie, oggi è tutto tanto complicato perché è aumentata dismisura l’offerta musicale ma non sono aumentati gli spazi per poterla esprimere. Anzi sono diminuiti, quindi in giro c’è un mare di gente che vuole suonare ma scarseggiano posti, date e soprattutto il pubblico è economicamente in difficoltà. Una persona normale, che va a vedersi i Pinguini Tattici Nucleari e Blano, ha già speso 150 euro secchi di biglietti. Non è un bel periodo e la musica è quasi un bene di lusso per cui se una famiglia deve depennare qualcosa, i concerti saltano in fretta. Quindi, per venire alla tua domanda, non lo so… Vada come vada, io da la settimana prossima mi rinchiudo in studio a scrivere per altri, e lo faccio con un grandissimo entusiasmo. Il resto si vedrà.
Foto da Ufficio Stampa MA9PROMOTION