Titolo: The Whale
Regia: Darren Aronofsky
Paese di produzione/anno/durata: Stati Uniti / 2022 / 117 minuti
Interpreti: Brendan Fraser, Sadie Sink, Jacey Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton, Sathya Sridharan
Programmazione: Cinema Conca Verde Bergamo, UCI Cinemas Orio al Serio, UCI Cinemas Curno, Arcadia Stezzano, Nuovo Cineteatro Albino, Cinema Aurora Grumello del Monte, Treviglio Anteo spazioCinema, Cinema Garden Clusone
“Io celebro me stesso, io canto me stesso, / E ciò che io suppongo devi anche tu supporlo / perché ogni atomo che mi appartiene è come appartenesse anche a te”. Una celebrazione di sé e della vita che si completa attraverso la relazione e il contatto con l’altro. Sono versi di Canto di me stesso, componimento del poeta statunitense Walt Whitman, contenuto nella raccolta Foglie d’erba. Versi che ritornano attraverso la descrizione di un nuovo, possibile, rapporto tra Ellie ed il padre Charlie, insegnante con problemi cardiaci, 270 chili di peso, protagonista di The Whale, il nuovo film di Darren Aronofsky, nelle sale cinematografiche da giovedì 23 febbraio.
Una celebrazione dell’altro che è unico rimedio al dolore intrinseco nella condizione umana. In The Whale, il dolore fisico di un corpo oversize, snaturato, con problemi cardiaci, come quello di Charlie (splendida interpretazione di Brendan Fraser), diventa manifestazione estrinseca di un malessere interiore, tra lutti non elaborati, rimpianti perenni e ricerca di salvezza. L’obesità del protagonista (resa in maniera efficace anche grazie alle protesi digitali create da Adrien Morot) scaturisce dal dramma vissuto da Charlie in seguito alla morte del compagno: un lutto accompagnato da una mancanza affettiva, da compensare attraverso un consumo compulsivo di cibo. Una situazione vicina ad un punto di non ritorno, con il protagonista chiuso all’interno del suo bilocale, divenuto ormai solo una voce per i propri studenti che segue online. Un’autosegregazione volontaria, divenuta in seguito necessità a causa della propria condizione fisica, che nasconde Charlie, ormai solo un riquadro nero in una videochat di gruppo con gli studenti.
Il personaggio interpretato da Brendan Fraser, infatti, rimane chiuso in casa, muovendosi tra il letto, il divano e la poltrona. Diventa un tutt’uno con gli interni dell’abitazione, anche lui monocromatico tra i toni del grigio che lo mostrano come la balena del titolo, tratto da una pièce teatrale di Samuel D. Hunter. Balena che si rifà anche al grosso cetaceo protagonista di Moby Dick, una balena bianca simbolo di un male oscuro e primigenio per l’esterno, un essere quasi misterioso, contrario ad un Charlie-Achab che, opponendosi all’abitudinarietà che lo circonda, si ritrova, l’ultima settimana della propria vita, ad inseguire un sogno.
Come in Requiem for a dream, The Wrestler ed Il cigno nero, Aronofsky ritorna a riflettere sul tema del corpo spinto fino ai propri limiti, vicino all’autodistruzione. Il regista si confronta ancora una volta con la condizione umana di antieroi angoscianti, costretti a riflettere il proprio dramma psicologico attraverso il dolore della carne, una deriva che diventa catarsi e redenzione.
Non esistono vie di fuga nelle inquadrature scelte dal regista. La sua camera a mano e le carrellate, sempre in 4:3, indugiano sul corpo ed, in particolare, sul viso di Charlie, che diventa parte dell’ambiente, rinchiuso in inquadrature che rendono l’intimità e la fragilità dell’uomo, unite ad uno stato di tensione perenne, dato dalla mancanza di una via d’uscita. Una reclusione anche volontaria, resa efficacemente dalla scelta di oscurare la propria webcam, evitando di farsi vedere dagli studenti. La precisione delle inquadrature si scontra poi con il disordine bulimico creato da Charlie, tra junk food sparso ovunque e spazzatura. Una sorta di horror vacui contrapposto poi all’ordine quasi asettico della stanza del compagno Alan, morto suicida, chiusa a chiave e divenuta spazio sterile, con un ordine che diventa allontanamento dalla vita.
In questa sorta di prigione autoimposta, fanno capolino alcuni personaggi che cercano di scuotere Charlie, a loro modo messaggeri di una salvezza che guarda al futuro. Liz (infermiera, sorella del compagno del protagonista, divenuta sua amica, interpretata da Hong Chau), Thomas (Ty Simpkins, con il suo inutile messaggio evangelico), l’ex moglie Mary (Samantha Morton) e la già citata Ellie (Sadie Sink), figlia diciassettenne misantropa, che nasconde la propria fragilità attraverso un linguaggio violento ed un rapporto utilitaristico con il padre, che non si è più curato di lei dopo la relazione con Alan. Un’ultima settimana di riavvicinamenti con le persone care, quando la relazione con l’altro diventa unica salvezza. Le cure mediche sono ormai inutili e le sterili predicazioni di Thomas, capitato per caso in casa di Charlie e deciso a salvargli la vita (o quantomeno l’anima), sono vane di fronte ad un vissuto di piena libertà, pena l’esclusione dalla società.
“Scrivete qualcosa di sincero” raccomanda il protagonista ai suoi allievi. L’insegnante sprona gli alunni verso il pensiero critico, capace di elevarsi oltre la massa sterile che compone la società. Un quesito che sprona a riflettere, mentre all’esterno continua incessante una pioggia di biblica memoria. Un diluvio dal quale emerge il fattorino delle pizze che, nell’abitudinarietà del proprio gesto, attende l’uscita di Charlie, curioso di capire chi si possa celare dietro la voce gentile che tutte le sere lo invita a prendere i soldi dalla cassetta delle lettere. Così, attraverso la capacità intrinseca delle persone di tendere verso l’altro, rimane il canto di salvezza del protagonista. Una celebrazione di sé, possibile solo attraverso lo scambio con l’altro.
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