La decisione di emettere un mandato di arresto nei confronti del presidente Vladimir Putin, accusato di aver deportato migliaia di bambini ucraini in Russia, ha riaperto il dibattito sul ruolo della Corte penale internazionale (Cpi). Nata poco più di vent’anni fa, la sua breve storia è stata segnata da una domanda la cui risposta continua a dividere gli esperti: a cosa serve? Non che i suoi compiti non siano chiari. Il problema, semmai, è la sua efficacia nel perseguire i crimini di guerra e contro l’umanità, genocidi e aggressioni. Più in generale, nel far trionfare la giustizia su scala globale.
Chi fa parte della Cpi
Il primo limite della Corte è proprio questa “scala”: da quando è stata fondata, i Paesi che ne hanno accettato la giurisdizione sono 123, a fronte dei 193 che compongono l’Onu. Tra questi, mancano “pezzi grossi” come gli Stati Uniti, la Cina, Israele e la stessa Russia. Il che mette in dubbio, per esempio, il fatto che Putin possa davvero trovarsi un giorno alla sbarra del tribuanle dell’Aja, lì dove ha sede la Cpi.
Finora, su 31 casi aperti dalla Corte, solo 7 condannati sono finiti in carcere, sotto la custodia dell’Aja. Quattro di questi provengono dalla Repubblica centroafricana: Mahamat Said Abdel Kani, Alfred Yekatom, Patrice-Edouard Ngaissona and Maxime Jeoffroy Eli Mokom Gawaka. Gli altri tre provengono da Mali (Al Hassan Ag Abdoul Aziz Ag Mohamed Ag Mahmoud), Uganda (Dominic Ongwen) e dal Sudan (Ali Muhammad Ali Abd–Al-Rahman). Il fatto che si tratti esclusivamente di criminali africani non è una casualità: finora, il focus della Corte si è concentrato quasi esclusivamente sull’Africa, e solo nel 2016 è stato aperto un caso per uno Stato non africano, la Georgia.
Le critiche
Questo squilibrio geografico ha sollevato le accuse di chi vede nella Cpi una sorta di tribunale a uso e consumo delle vecchie potenze coloniali europee. E ha deluso le aspettative dei Paesi africani che avevano ratificato fin dal principio lo Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Corte: “Lo hanno fatto sapendo che probabilmente sarebbero stati al centro delle sue indagini, ma incoraggiati dalla speranza che la giustizia si estendesse al potente nord globale”, scrive Matt Killsworth, dell’Università della Tanzania, in Australia. Anche per scrollarsi di dosso l’accusa di “dare la caccia agli africani”, nell’ultimo lustro la Corte penale internazionale ha intrapreso indagini nella già citata Georgia, in Bangladesh e Myanmar, in Afghanistan, in Palestina, nelle Filippine, in Venezuela e, infine, in Ucraina.
In tutti questi casi “non africani” solo per l’Ucraina è stato emesso un mandato di arresto, quello nei confronti di Putin. Per gli altri, le indagini sono ancora in corso. L’inusuale rapidità dell’Aja nel caso del leader russo è sicuramente un modo per la Corte di ribadire il suo ruolo agli occhi del mondo. Ma potrebbe esporla anche a contraccolpi che potrebbero minarne la credibilità e l’imparzialità.
Come arrestare Putin?
La prima potenziale accusa è che l’azione legale contro Putin sia stata decisa più per ragioni di “marketing” che per concrete possibilità di ottenere giustizia. Non avendo ratificato lo Statuto di Roma, la Russia è al di fuori della giurisdizione della Cpi. Ma questo non vuol dire che i suoi cittadini non possano essere perseguiti, condannati e incarcerati. Perché Putin vada a processo occorre che venga arrestato e portato davanti ai giudici dell’Aja. A eseguire l’arresto può essere non solo uno dei Paesi che fanno parte della Corte, ma anche uno Stato che non ha ratificato lo Statuto di Roma, come gli Stati Uniti. L’eventuala arresto non determinerebbe automaticamente la consegna alla Cpi: occorre che un giudice nazionale ne valuti la legittimità rispetto al proprio diritto interno, spiega l’avvocato Marco Valerio Verni, responsabile Area diritto di “Difesa Online”.
L’Italia, per esempio, potrebbe avere delle difficoltà, secondo Verni: “L’ipotesi di reato dovrebbe essere quella di deportazione di fanciulli, che nel nostro ordinamento non è specificamente prevista, e non avendo l’Italia ancora approvato il codice dei crimini contro l’umanità, la corte di appello di Roma (competente per questo tipo di casi, ndr) potrebbe avere criticità nel ravvisare, nel nostro ordinamento, un’ipotesi di reato uguale a quella per cui è stato chiesto l’arresto”.
Il nodo gli Stati Uniti
Complicazioni giuridiche a parte, resta il fatto che sulla carta Putin potrebbe essere chiamato a rispondere dei crimini contestati dalla Cpi. Ma la legittimità dell’azione non è l’unico elemento di rischio per la Corte. Qualcuno potrebbe per esempio chiedere conto ai giudici dell’Aja sul motivo per cui non abbiano ancora aperto un’indagine sulla Siria: secondo diverse ong, Bashar al-Assad potrebbe essere oggetto di un mandato di arresto per aver costretto milioni di siriani a fuggire dal Paese.
Il caso più controverso, però, è quello degli Stati Uniti. Washington non solo non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, ma almeno due presidenti repubblicani, George W. Bush e Donald Trump, hanno minacciato la Corte di ritorsioni qualora avesse aperto un’indagine a carico di cittadini statunitensi o di Paesi alleati. Le minacce di Trum, hanno sortito l’effetto sperato: nel 2016, l’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale aveva annunciato una possibile indagine sul personale militare e di intelligence degli Usa per il sospetto di “torture, trattamenti crudeli, oltraggi alla dignità personale e stupri” in Afghanistan. Ma all’annuncio non sono seguite incriminazioni, e il nuovo procuratore della Cpi, Karim Khan, ha fatto sapere che le indagini non si sarebbero più concentrate su quei presunti crimini. Lo stallo con gli Usa ha rallentato anche il perseguimento dei crimini contro i talebani. Su di loro, le indagini della Corte sono ancora in corso, ma per il momento non è stata formalizzata nessuna accusa.
Istituzione inutile?
Per tutte queste ragioni, la Corte penale internazionale viene considerata un’istituzione inutile da diversi esperti. Ma c’è chi non la vede in questo modo. Killsworth, per esempio, sottolinea il ruolo di moral suasion che l’Aja riesce a svolgere: l’Australia, per esempio, ha avviato la sua prima indagine sui presunti crimini commessi dalle sue truppe in Afghanistan solo dopo la notizia che la Cpi era pronta a farlo al suo posto. Gli stessi Stati Uniti, soprattutto sotto l’amministrazione Obama, hanno avviato una settantina di procedimenti sui crimini contestati ai suoi soldati e alla sua intelligence per le torture a Guantanamo. I procedimenti si sono conclusi con sentenze, rimaste riservate. Ma nel 2021, per la prima volta, una giuria militare ha duramente contestato i metodi usati dagli Usa nella prigione segreta cubana, riconoscendo che uno dei terroristi detenuti è stato vittima di tortura (motivo per cui, nel 2023, l’uomo è stato rilasciato).
Per i difensori della Cpi, come l’ong Human rights watch, la Corte dell’Aja non va dunque valutata solo per l’effettivo successo dei suoi procedimenti giudiziari. E occorre ricordare anche che l’istituzione deve “affrontare sfide difficili nello svolgimento del suo mandato”, come la carenza di personale e risorse. Certo, questo tribunale internazionale “ha certamente bisogno di continuare a imparare lezioni, correggere errori e migliorare il proprio lavoro. Ma è più che mai necessaria una Cpi efficace sostenuta dal forte sostegno della comunità internazionale per inviare il messaggio che l’impunità per le atrocità di massa non sarà tollerata”, scrive Human rights watch.