Sedici anni di reclusione. E’ la pena inflitta oggi con rito abbreviato, e dunque anche con lo sconto di un terzo, a un 30enne arrestato un anno fa e a processo per violenze sessuali ai danni di sei bambine, tutte di età inferiore ai 10 anni, avvenute tra il 2018 e i primi mesi dello scorso anno. La sentenza è stata emessa dal gup di Milano Daniela Cardamone, a seguito delle indagini del pm Francesca Gentilini, condotte dalla Squadra mobile milanese.
Il 30enne, che è entrato e uscito dal carcere negli ultimi anni e sempre per imputazioni di violenze su minori, era anche stato sottoposto in passato alla misura della sorveglianza speciale (violata nel 2018) e, quando era detenuto, era stato pure sottoposto a un programma di recupero e riabilitazione.
Stando alle indagini, il giovane cinque anni fa avrebbe abusato di due sorelline mentre lavorava per i loro genitori come babysitter e poi negli episodi più recenti, quelli tra l’ottobre 2021 e il marzo 2022, si sarebbe proposto anche come insegnante di recupero in casa e così avrebbe abusato di altre bimbe.
Per l’imputato è arrivata una pena di 16 anni perché il giudice, così come chiesto dal pm, non ha applicato la continuazione tra gli episodi del 2018 e quelli più recenti, sommando, dunque, le pene e senza diminuzioni.
Il presunto pedofilo seriale è stato condannato anche per detenzione di materiale pedopornografico (più di mille file), oltre che per la violazione della misura della sorveglianza speciale e per le violenze sulle sei bimbe. Senza attenuanti e con la recidiva nella massima estensione. Dalle indagini è emerso che, anche attraverso i social, l’uomo sarebbe riuscito ad agganciare famiglie in difficoltà per arrivare, poi, ad abusare di bambine.
In passato aveva anche seguito il noto percorso riabilitativo per ‘sex offender’ del professor Paolo Guglielmo Giulini, criminologo e professore all’Università Cattolica, al quale si era volontariamente sottoposto. Nell’interrogatorio dopo l’ultimo arresto, a fine marzo scorso, il giovane aveva detto al giudice di essere malato, chiedendo, così a verbale, la “castrazione chimica”. La Procura aveva chiesto una condanna a 13 anni e il giudice, senza concedere alcuna diminuzione prevista dalle norme, ha portato la pena fino a 16 anni.