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Architetture da conoscere: 4 edifici iconici con una storia drammatica

Trellick Tower, la “torre del terrore”

La Trellick Tower a Londra.© Hulton Deutsch ; Getty Images

Edifici famosi nel mondo, con una storia tragica e controversa. Dopo il successo della sua Balfron Tower, l’architetto Ernő Goldfinger fu chiamato a ripetere l’impresa per costruire nuove case popolari. Con l’obiettivo di sopperire alla crisi degli alloggi del secondo dopoguerra nella zona nord di Notting Hill, progettò di erigere una torre, alta 98 metri,  secondo i suoi standard costruttivi: aprire un massimo di metri quadrati abitabili, rispettare le scadenze e soprattutto i budget assegnati. Per realizzare questa impresa, elaborò un progetto per una torre residenziale a cui ne sarebbe stata collegata una di servizio, comprendente l’intero locale caldaia, l’area di smaltimento dei rifiuti e tre ascensori. Per risparmiare tempo, gli ascensori si fermavano solo ogni tre piani, in modo da poter raggiungere rapidamente tutti i 31 livelli – quelli non serviti potevano essere raggiunti solo con le scale.

Tuttavia, il Greater London Council di Londra, nonostante Goldfinger avesse presentato una petizione affinché l’edificio fosse dotato di un’adeguata sicurezza e di un portiere, rifiutò la sua richiesta. La Trellick Tower divenne quindi oggetto di atti di vandalismo ancor prima di essere aperta al pubblico. La lavanderia al piano terra divenne rapidamente un covo di spacciatori. I piani, separati dallo speciale sistema di ascensori, erano luoghi di violenza e furti, i corridoi furono invasi da criminali e senzatetto. I guardiani organizzarono manifestazioni e scioperi di fronte ai rischi, e la torre si ritrovò molto presto senza alcun tipo di protezione. E come se non bastassero i problemi inerenti alla struttura, la sua inaugurazione nel 1972, fu un’esperienza tragica, mentre il suo stile brutalista fu criticato per la mancanza di gusto e per i problemi che si erano verificati. Se a questo si aggiunge la mancanza di manutenzione a causa della violenza, Trellick divenne presto un luogo insalubre e malfamato.

Durante un inverno londinese particolarmente rigido, un gruppo di vandali si era introdotto nella torre durante la notte, approfittando della situazione per far esplodere un estintore al 12° piano e far attivare il sistema antincendio all’interno degli ascensori, provocando un vero e proprio diluvio. L’acqua aveva danneggiato tutte le parti elettriche della torre di servizio, lasciando gli abitanti senza elettricità, riscaldamento e acqua calda per molto tempo.

Vista notturna della Trellick Tower.© James Burns ; Getty Images

La “torre del terrore” è stata riportata al suo antico splendore solo dopo la morte del suo creatore. Il Tower Council, alla ricerca di una soluzione per salvare l’edificio, che si stava svuotando dei suoi occupanti, investì nella sua ristrutturazione e mise in vendita gli appartamenti nel 1986. Che potevano essere comprati a una condizione: doveva essere utilizzata come residenza primaria. Con grande sorpresa, le richieste si moltiplicarono. Sebbene il brutalismo cominciasse ad avere sempre più ammiratori, era l’attenzione ai dettagli di Goldfinger a destare interesse, soprattutto per l’uso di rivestimenti in cedro e di porte scorrevoli salvaspazio.

Oggi la Trellick Tower è un edificio tutelato, che fa parte dello skyline iconico di Londra ed è apparso compare in diversi film o in canzoni come Best Days dei Blur. L’inaspettato revival della torre ne ha fatto uno dei punti di riferimento più popolari di Londra.

La Cupola di Dante Bini

Una fotografia della Cupola di Bini tratta dalla mostra Antonioni Beyond the Dome. Oltre la cupola, a cura di Sara e Madel Nieddu dell’associazione De Rebus Sardois.© De Rebus Sardois

Quando Monica Vitti presentò l’architetto Dante Bini a Michelangelo Antonioni, quest’ultimo aveva in mente una sola idea: costruire una casa ecologica sulla costa nord della Sardegna, a Costa Paradiso. Per celebrare il loro amore, Monica Vitti e Michelangelo Antonioni si erano ispirati alle spiagge di sabbia rosa vicine al cantiere. Secondo la leggenda, il regista raccolse un sasso disse a Bini: “Costruiscimi una casa che profumi come questo sasso”.

L’architetto aveva creato la casa secondo il suo progetto Binishell:  una cupola realizzata in un’unica colata di cemento gonfiata e sollevata grazie a una camera d’aria. Questa costruzione all’avanguardia, con tempi di realizzazione estremamente rapidi (circa 60 minuti) e basso impatto ambientale, aveva soddisfatto tutte le aspettative del committente. Il regista desiderava spazi organici, ognuno diverso dall’altro, e molte finestre sul mare. Dante Bini aveva curato nei minimi dettagli l’inserimento di camomilla e corallo rosa nel calcestruzzo per conferire al materiale il colore e l’odore desiderati, consentendogli di fondersi con l’ambiente naturale circostante.

All’inizio degli anni ‘70 la casa era considerata completa. Con le sue finestre Panavision 2.35 (il formato cinematografico preferito da Antonioni all’epoca), il suo oculum aperto che permetteva di sentire il suono dell’oceano dall’interno e gli arredi Seventies, tutto sembrava riflettere all’attenzione del regista per i dettagli. Anche se la coppia si era separata tre anni prima.

Sebbene fosse ancora abitata, sembrava che mancasse qualcosa. I suoi alti gradini, pensati per permettere ad Antonioni di guardare Monica Vitti mentre entra nel salotto, perdono di significato, le poltrone si svuotano, mancano gli amici. L’attrice smette a poco a poco di venire, la casa sembra troppo lontana e raggiungibile solo in barca. La dimora, che un tempo era piena di persone care, è ora occupata solo dal regista e dal finanziatore. Vi ha vissuto fino agli anni ‘90, quando si è rassegnato a lasciarla a causa dei tanti curiosi che vi entravano, per fare un giro in questa casa organica interamente aperta al mondo esterno.

L’interno della La Cupola in una fotografia dalla mostra “Antonioni Beyond the Dome” di Sara e Madel Nieddu di De Rebus Sardois.

© De Rebus Sardois

La casa è stata gradualmente abbandonata dai suoi occupanti. Ormai abbandonata e fatiscente, rischia di crollare, ma continua a essere fonte di emozione per i pochi visitatori che osano entrare in questa proprietà privata, simbolo di un amore spezzato.

Bini, intervistato da Goswin Schwendinger nel 2015, si è profondamente commosso quando Schwendinger gli ha mostrato le foto attuali della Cupola. “Avreste dovuto vedere questa casa quando ci vivevano Vitti e Antonioni. Ora è solo un rudere. Nel 2020 De Rebus Sardois, progetto curatoriale che sul web mostra al pubblico la casa, con foto e numerose informazioni, ha lanciato una petizione per salvare questo luogo speciale

Il progetto Pruitt-Igoe e la morte dell’architettura moderna

Veduta dall’alto del progetto  Pruitt-Igoe a Saint-Louis nel 1956.© Bettmann ; Getty Images 

Questa committenza allo studio di architettura Leinweber, Yamasaki & Hellmuth fu il primo grande progetto di Minoru Yamasaki, futuro progettista, tra l’altro, del World Trade Center e della Tour Picasso. Rispondendo a un appello per la costruzione di alloggi a St. Louis nel 1950, l’obiettivo era quello di costruire un gran numero di abitazioni per sostituire le case fatiscenti nei quartieri degradati.

Il progetto prevedeva la costruzione di 33 edifici per un totale di 2.870 appartamenti in grado di ospitare fino a 10.000 persone, tutti ispirati a La Ville Radieuse di Le Corbusier. Purtroppo, i drastici tagli al budget hanno modificato i piani originali. Gli edifici, che avrebbero dovuto avere altezze diverse, sono stati costruiti tutti con le stesse dimensioni, perdendo così la loro attrattiva. Le aree comuni erano state semplicemente rimosse dai piani e la sistemazione del paesaggio non era mai stata completata. Queste preoccupazioni economiche hanno si erano fatte sentire in tutto il progetto, compresa la modifica del funzionamento degli ascensori con un sistema di fermate a 3 piani, costringendo gli occupanti a usare le scale e attirando i malviventi nei piani più isolati. Quelli che sembravano essere problemi molto simili a quelli della Trellick Tower sono stati accentuati dalla creazione di “strade interne” con ampi corridoi, con l’obiettivo di trasformare questi spazi di transizione e movimento in aree di scambio e di vita.

Inoltre, il numero di posti auto non era sufficiente, e questo aveva portato un gran numero di abitanti a rinchiudersi casa, diventando una delle cause del loro impoverimento. Problemi di ventilazione, manutenzione e ripristino si sono susseguiti e aggravati a mano a mano che le abitazioni si andavano svuotando. I più svantaggiati erano rimasti, ritrovandosi a pagare affitti più alti a causa dei tanti alloggi vuoti.

Questi inquilini hanno poi dato vita a proteste contro il rincaro degli affitti e la mancanza di manutenzione, rifiutandosi di pagare. Per tutta risposta, le autorità pubbliche avevano tagliato ulteriormente il budget, condannando di fatto Pruitt-Igoe, che fu gradualmente demolito fra il 1968 e il 1976

La celebre fotografia della demolizione del secondo edificio del Pruitt-Igoe.© Bettmann ; Getty Images 

Per molto tempo la sua struttura architettonica è stata additata come la causa di questo fallimento, tanto che l’architetto Charles Jencks proclamò la “morte dell’architettura moderna” quando l’ultimo edificio fu distrutto, utilizzando la famosa fotografia della sua demolizione. Oggi si parla invece dei problemi economici e sociali dell’edificio.

Ciononostante, per citare il sociologo e urbanista Thomas Watkin, la sua demolizione troppo tempestiva “ha congelato Pruitt-Igoe in quello scatto fotografico, rendendolo un monumento storico”.

L’Empire State Building, la nuova Babele

L’Empire State Building al tramonto.© Ventdusud ; Getty Images

Quando a William F. Lamb fu chiesto di progettare un nuovo edificio sulle fondamenta del vecchio Waldorf-Astoria Hotel, non avrebbe mai pensato di dover rivedere il suo progetto più volte. Mentre la legge urbanistica del 1916 gli imponeva di rivedere la facciata per consentire l’arretramento della torre a mano a mano che questa cresceva in altezza, a New York era iniziata la gara per il titolo di edificio più alto.

Coinvolto in quella che divenne nota come “The Race to the Sky” (la corsa verso il cielo), Lamb rielaborò il progetto della torre, che all’epoca si trovava testa a testa con il Chrysler Building e il 40 Wall Street. Con un’altezza iniziale di 50 piani, il progetto finale prevedeva 86 piani con l’aggiunta di un albero di attracco per dirigibili che avrebbe garantito una vittoria schiacciante, raggiungendo un’altezza di 380 metri. Tuttavia, con questo nuovo status di icona, l’86° piano divenne il luogo di molti memorabili tentativi di suicidio. Tra questi, quello di Evelyn McHale, che venne riportato dalla rivista Life nel 1947 con il titolo “Il più bel suicidio”, e che ispirò Andy Warhol a creare la sua scioccante serigrafia Death and Disaster. Ma la più grande tragedia che ha colpito l’Empire State Building era avvenuta qualche anno prima.

Un bombardiere B-25D Mitchell, in missione di routine per far scendere un militare all’aeroporto LaGuardia, rimane bloccato nella fitta nebbia sopra New York. Senza alcun ordine, se non quello di non atterrare, il suo pilota, il tenente colonnello William Franklin Smith Jr. si orienta visivamente mentre passa davanti al Chrysler Building. Pensando di essere a ovest di Manhattan, prosegue in quella direzione ma, avendo superato l’East River, vola direttamente su Manhattan. Sostenendo che questa “zuppa di piselli” gli impedisce di vedere persino la cima dell’Empire State Building, si ritrova intrappolato fra i grattacieli. Oscillando tra gli edifici, evita per un soffio diversi incidenti. Rendendosi conto che sta volando troppo basso, cerca di risalire, ma non basta.

L’enorme spaccatura sulla facciata dell’Empire State Building fra il 78° e il 79° piano provocata dallo schianto del bombardiere.© Bettmann ; Getty Images

Va a finire contro il 79° piano dell’Empire State Building, uno dei motori oltrepassa la struttura e si schianta su un attico sottostante, e l’altro passa attraverso gli uffici e finisce in un ascensore, trascinandolo con sé. Oltre all’impatto in sé, la parte più pericolosa dell’incidente è la benzina in fiamme del bombardiere, che provoca un gigantesco incendio nei piani circostanti. Quattordici persone perdono la vita e un gran numero di feriti si salva grazie alle stazioni di soccorso installate su diversi piani.

Da un’altra angolazione, l’impatto avrebbe causato il crollo dell’intero edificio. Poiché i danni sono stati superficiali, l’Empire State Building ha potuto riaprire solo 3 mesi dopo la tragedia, una volta completate le riparazioni. In risposta a questo evento, la Civil Aeronautics Authority ha vietato tutti i voli su New York al di sotto dei 760 metri, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Sebbene abbia perso il suo status di palazzo più alto del mondo nel 1970, rimane uno degli edifici più celebri di New York e degli Stati Uniti, mantenendo il suo ruolo iconico anche grazie al suo legame con il cinema.

Articolo pubblicato su AD Francia, adattato da Paola Corazza.

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