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Babylon, il regista racconta le follie estetiche di Hollywood messe in scena da Brad Pitt

Brad Pitt torna al cinema in grande, grandissimo stile. L’appuntamento al cinema è fissato per il 19 gennaio con Babylon, l’ultima fatica di Damien Chazelle, Premio Oscar per La La Land e promette scintille (oltre che eccessi di ogni genere).

Incorniciata dalla sua estetica ormai iconica e visionaria, la storia si svolge nel passaggio dal muto al sonoro, in quei tempi in cui – tra gli Anni Venti e Cinquanta del secolo scorso – Hollywood era ancora un’industria agli albori e i suoi divi si comportavano come campioni di dissolutezza.

Brad Pitt plays Jack Conrad and Li Jun Li plays Lady Fay Zhu in Babylon from Paramount Pictures.Photo Credit: Scott Garfield

Brad Pitt interpreta una delle stelle più lucenti della settima arte (che all’epoca veniva considerato tutto fuorché dignitosa), Jack Conrad, che vive nel lusso più sfrenato e non teme di compromettersi un po’. Margot Robbie presta il volto all’astro nascente Nellie LaRoy, mentre Diego Calva è un assistente/aspirante attore di origini ispaniche, Manny Torres, e Jovan Adepo veste i panni del trombettista Sidney Palmer.

Qui s’intrecciano carriere, destini, vite, come se l’esistenza non fosse altro che una festa senza fine, piena di capricci e vizi, capace d’intrecciare finzione e realtà. Ad essere onesti, tranne il personaggio del produttore Irving Thalberg (Max Minghella di The Handmaid’s Tale), sono tutti frutto dell’immaginazione sfrenata del cineasta, che durante la presentazione romana del film, però, ha giurato di aver censurato parecchio gli eccessi messi in scena e di essere sicuro che all’epoca i protagonisti delle pellicole facevano di molto, molto peggio. 

Margot Robbie plays Nellie LaRoy in Babylon from Paramount Pictures.Photo Credit: Scott Garfield

A quali classici del cinema si è ispirato?

«Il cinema italiano ha ricoperto un ruolo cruciale, in particolare La Dolce Vita di Federico Fellini. L’idea è stata quella di raccontare l’epoca nella dualità tra il giorno e la notte, tra il tempo del lavoro e quello dello svago. Questo racconto in costume sulla nascita di Hollywood usa questo prisma per mostrare i set e anche le feste che ne seguivano, in un contenitore di sogni, speranze e tragedie. Ho voluto guardare sotto la superficie».

Perché proprio il passaggio dal muto al sonoro?

«Si tratta di un momento storico cruciale perché il cinema era ancora una realtà nuova. Hollywood non godeva affatto del rispetto della società e Los Angeles sembrava un Far West senza regole, con un’esplosione di possibilità artistiche, in pieno cambiamento».

Hollywood è ancora fucina di cambiamento?

«No, oggi ha perso la sua libertà e deve reclamarla: non è mai stata più pavida, conformista, moralista e puritana di quanto lo sia ora. E pensare che ho iniziato a scrivere il film 15 anni fa… ma non è cambiato molto, se non in peggio, quindi la storia acquista una rilevanza ancora maggiore perché abbiamo tanto da imparare dalla Hollywood di un tempo».

Per fare questo viaggio nel tempo mescola generi e toni diversi. Come mai questa scelta audace?

«Si parte in commedia e si finisce in tragedia passando per momenti che sembrano horror: mi è servito per mostrare un’energia diversa e servire i due estremi. Si passa dal Paradiso all’Inferno in un ciclo senza fine».

Max Minghella plays Irving Thalberg in Babylon from Paramount Pictures.Photo Credit: Scott Garfield

Sapeva che avrebbe attirato critiche feroci?

«Certo, era quello l’intento. Ho superato molti limiti per innescare un dibattito ma senza scendere a compromessi. Il film è uno shock, non solo una celebrazione dei tempi d’oro. E questo comporta un senso di fastidio, disagio e persino risentimento nel pubblico, ma ha bisogno di trovare chi sia recettivo ad accoglierlo, senza mezzi termini. Infiammerà molti e otterrà reazioni polarizzate ma è un bene se aiuta a creare un dibattito, a fare rumore, a continuare il suo viaggio anche quando esce dalla sala».

E se si pentisse?

«Non credo ai rimpianti, ai director’s cut e al ritornare sui propri passi. Quando finisci un film e lo lasci andare nel mondo non è più tuo, come un figlio che lascia la casa e, per quanto un genitore voglia controllarlo, alla fine trova il suo posto nel mondo. Per me è un processo liberatorio e fuori controllo».

Davvero il cinema è stato una Babilonia?

«Certo, aveva una pessima reputazione perché chi ci lavorava si comportava come a Sodoma e Gomorra: era un rifugio per criminali e un investimento per immigrati e gente nata povera che ha invece messo su un impero. Quando ti ritrovi tra le mani una quantità simile di denaro è plausibile che si scatenino isteria e follie. E forse la realtà è stata persino più estrema di quello che racconto io».

Negli Anni Cinquanta si dava la sala per morta, un po’ come ora. Lei che ne pensa?

«Persino i fratelli Lumiere pensavano che il cinema avrebbe avuto vita breve. Con l’avvento della TV poi si temeva che non sarebbe durato e invece eccoci qua: il grande schermo si reinventa e continuerà a farlo anche in questa nostra epoca dominata dalle piattaforme streaming. Fa tutto parte di un ciclo di morte e rinascita, di una rigenerazione necessaria. A casa ho una gigantografia della copertina di Paris Match del 1953 con Marilyn Monroe che si chiedeva se il cinema fosse morto. Ecco, la guardo e m’infonde ottimismo».

Con un Premio Oscar alle spalle la sua sperimentazione ha la vita facile, no?

«Anche se io non sono cambiato con quella statuetta, di sicuro si è trasformata l’idea che si aveva di me e quindi credo che senza l’Oscar oggi probabilmente un film come Babylon non lo avrei potuto fare».

Margot Robbie plays Nellie LaRoy in Babylon from Paramount Pictures.Paramount Pictures

Brad Pitt è una certezza ma Margot Robbie è la diva del momento. Da Barbie a Ocean’s Eleven, la vedremo ovunque. Cos’ha di speciale?

«Credo sia una creatura unica nel suo genere. Lei si definisce un animale selvaggio che esce fuori in maniera incontrollata quando arriva un nuovo personaggio. Da un lato è disciplinatissima, dall’altro audace e pronta a sperimentare di tutto, senza paura di sbagliare. È una che fa dodici ciak della stessa scena in modo diverso e ogni volta riesce a piangere ad esempio con un occhio solo. Fa dei virtuosismi pazzeschi e io mi sono solo limitato a farla sentire protetta e libera di esprimersi».

Quale sarà la prossima sfida? Un film in 3D?

«La tecnologia è uno strumento al servizio della creatività e chissà cosa ci riserverà d’altro il futuro. L’importante è che sia un mezzo e non un fine, come in mano a maestri come James Cameron. Lui dimostra che ha anche valore estetico, come un pittore che espande la sua palette di colori. Come successo per il sonoro e per il colore, la storia del cinema insegna proprio questo, che esistono sempre nuovi inizi e orizzonti da esplorare. Per fortuna». 

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