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Balneari, il governo cerca una via d'uscita: come può cambiare la legge

Sui balneari il governo cerca una scappatoia che possa salvare capra e cavoli. Si punta in altre parole a modificare la norma contenuta nel Milleproroghe che proroga di un anno le concessioni senza però aprire del tutto alla concorrenza. L’antefatto è ormai noto: con il decreto approvato in Camera e Senato e promulgato venerdì da Mattarella è stato disposto un nuovo rinvio fino al dicembre del 2024 della messa a bando degli stabilimenti balneari (con la possibilità di rendere le concessioni valide per tutto il 2025 “in presenza di ragioni oggettive che impediscono l’espletamento della procedura selettiva”). 

Sul tema, l’Italia non è in regola con le leggi europee. La Commissione Europea ha più volte minacciato una procedura d’infrazione perché lo Stato italiano non applica una direttiva approvata nel 2006 – la direttiva Bolkestein – secondo cui la gestione dei beni pubblici va assegnata con una procedura di gara. In Italia, al contrario, le spiagge – beni pubblici che appartengono al demanio dello Stato – vengono assegnate tramite concessioni decennali molto vantaggiose per gli stabilimenti e poco redditizie per lo Stato. 

Nel promulgare il Milleproroghe, pur non potendo bloccare la legge alle Camere per evitare il rinvio di altri provvedimenti, Mattarella ha sollevato molte perplessità. Sulle concessioni demaniali infatti, ha puntualizzato il capo dello Stato, “è evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento”. 

A Palazzo Chigi il messaggio è arrivato forte e chiaro. “Rispetto alla norma che formalmente è in vigore – fanno sapere fonti del governo -, quanto richiamato dal Capo dello Stato meriterà attenzione e approfondimento da parte del governo nel confronto con le forze parlamentari”. Impossibile ignorare i rilievi mossi da Mattarella. Così come sarebbe poco saggio non considerare che dietro l’angolo c’è la possibilità concreta di un sanguinoso contenzioso con l’Ue. 

Secondo Giancarlo Coraggio, ex presidente del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, “il rischio di una procedura di infrazione è serio”. Non solo. “Ci sono segnali forti di una pronuncia rapida” ha dichiarato all’Ansa, “perché pende già una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia Ue, che ha deciso la procedura accelerata. Il che prelude a una sentenza rapida e dall’esito facilmente prevedibile, visti i termini cristallini della questione”.

Le ipotesi sul tavolo

Qual è dunque il piano del governo? Una delle ipotesi è quella di distinguere tra le concessioni assegnate prima del 2010 (anno in cui la direttiva Bolkestein è stata recepita in Italia) e quelle successive a questa data. La ratio di un simile provvedimento è che chi ha investito in uno stabilimento prima che alla legge dell’Ue fosse data attuazione in Italia non può essere paragonato a chi lo ha fatto dopo. In tal modo verrebbero “salvate” la maggior parte delle concessioni.

Un’altra possibilità è quella di prevedere delle tutele speciali per i titolari di licenze: l’idea è quella di mettere a bando le concessioni, accontentando l’Europa, ma con una corsia preferenziale per chi è già titolare di uno stabilimento. Di sicuro qualcosa dovrà cambiare. Anche perché sulle concessioni c’è una sentenza del consiglio di Stato del novembre del 2021 che dà in sostanza al diritto europeo non prevedendo possibilità di ulteriori proroghe. Da 31 dicembre 2023, si legge, “tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione”.
 

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