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CALUSO: CARLO GNAVI, TRA STORIA E MODERNITÀ – James Magazine

La vita è un susseguirsi di scelte, ricordi da preservare, cambiamenti da vivere. Il vino si inserisce perfettamente in questi pensieri. In una cantina vitivinicola è esso stesso l’oggetto del cambiamento, il centro delle scelte, siano esse drastiche o tuttalpiù confinate a meri accorgimenti. In ogni caso il risultato è racchiuso in una bottiglia che ci parla a distanza di decenni con grande lucidità, per raccontarci tutto il suo potenziale, la sua storia e diventare, come nel caso del Passito prodotto a Caluso, il cardine principale per lo sviluppo di un’intera collettività umana.

È quello che accade nella cantina Carlo Gnavi, attualmente gestita da Giorgio Gnavi, già ricercatore universitario di biologia, oggi professore di Scienze Naturali presso l’Istituto di Istruzione Superiore Piero Martinetti di Caluso, che impegna tutto il suo tempo libero, e non solo, nella conduzione dell’azienda di famiglia assieme allo zio Carlo dopo la morte del padre Gugliemo: “ci ho messo quindici anni per arrivare dove sono. Cinque mi sono serviti per ambientarmi – capire dov’ero, c’ero e non c’ero in cantina – altrettanti per assestarmi e concretizzare il lavoro, e ulteriori cinque per attuare dei cambiamenti, volti tutti alla valorizzazione di un’uva, l’Erbaluce e dei vini che da essa hanno origine”.

Per entrare nel mondo Gnavi basta recarsi al centro del paese di Caluso, a pochi chilometri dalla città di Torino, in Via Cesare Battisti al civico 8. Si accede alla cantina da un portone, di fattura moderna, così come l’insegna, che conferma di essere nel posto giusto, perché da fuori non si vede nulla. Una volta entrati si è accolti da un murales in bassorilievo di terracotta di Castellamonte che narra sia la storia del vitigno autoctono Erbaluce e degli Gnavi. A metà ‘800, l’azienda familiare di agricoltori e vignaioli si evolve in una società di carradori, fratelli dediti alla costruzione dei carri e al trasporto di merci; in seguito, alla fine dello stesso secolo, i membri della famiglia Gnavi iniziarono a specializzarsi nella coltivazione dell’uva Erbaluce e soprattutto nella vinificazione del futuro vino dolce di questo angolo di Canavese. Grazie al Cavalier Giovanni, in poco tempo, l’attività eccelle per la produzione del Passito. Tuttora i carri sono uno degli elementi più frequenti nella comunicazione dell’azienda. Come l’acquamarina, colore scelto come pattern per tutta l’immagine coordinata della cantina che ricorda, all’attento osservatore, che milioni di anni fa al centro del Piemonte c’era il mare. Invero, il colore è stato scelto perché si tratta di una cromia ancora visibile nelle storiche case contadine dove la pergola di vite, adibita a portico, fungeva da ombrellone naturale sul cortile. Le pareti delle case coloniche, non di rado, si tingevano di verde rame in virtù del trattamento a cui si sottoponeva la vite per salvaguardarla, in passato, come oggi, dalle malattie fungine.

A terra, una dozzina di damigiane indicano la strada all’ampio cortile dal quale sfuggono, a un primo sguardo, i lavori svolti nel corso del tempo per l’ampliamento dei locali, adibiti a stoccaggio, vinificazione e, non meno importante, all’accoglienza. Che inizia da una sala affrescata e arredata da bottiglie-manifesto di una promozione, già all’avanguardia, dell’Erbaluce di Caluso Passito prima dell’ottenimento della Doc (la prima per una bacca bianca, in Piemonte) avvenuto nel 1967. C’era una sola etichetta, uguale per tutti con ben evidente Caluso sormontato dallo stemma comunale, che i produttori personalizzavano con la propria firma, rendendola così riconoscibile e garante della sua origine. Oggi quell’idea è stata ripresa e sfruttata sulla tipologia fermo Erbaluce) Caluso Docg a menzione vigna: la cantina Gnavi produce due versione in bianco secco, un vino classico, d’annata, dedicato al Cav. Giovanni e una versione Riserva (sebbene non esista la tipologia da disciplinare) prodotta dalla singola Vigna Crava (piante con una 60 anni in media) sulla cresta di una vasta collina in regione Crava, in direzione Mazzè a 340/380 metri s.l.m. esposta a sud (morena frontale dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea). Sulle bottiglie di quest’ultimo prodotto “gioiello”, frutto di grande selezione delle uve, loghi, scritte e disegni dei grappoli sono serigrafati e cambiamo di colore in ogni millesimo.

Nella storica cantina a volte, l’umidità e il buio sono i compagni indiscussi delle migliaia di bottiglie Metodo Classico che riposano sui lieviti da 30 a 100 mesi. Due le tipologie prodotte: un Brut e un assai convincente Pas Dosé. In qualche vecchia botte di acacia e castagno l’Erbaluce Passito affina per poi essere inserito nella liqueur d’expédition. La linea di Spumanti prende in nome di Turbante. Si respira molta arte, una grande passione di Giorgio; sulle pareti si alternano quadri di vari generi, tutti molto evocativi, di paesaggi, figure e poster tra post-impressionismo, pop art e futurismo. La piccola cantina di vinificazione, invece, si compone di qualche vasca in acciaio e cemento (più un tonneau battezzato come “didattico” in cui riposa un Passito di Caluso oltre quarantennale, che mai sarà commercializzato). Al piano superiore, su una terrazza dedicata, vengono invece riposte le uve per l’appassimento, le prime selezionate in vendemmia dopo almeno 3-4 passaggi. Per il Passito è condicio sine qua non la presenza di grappoli ben maturi, ambrati, che su stuoie ci restano circa cinque mesi. Una volta concentrati i succhi, i grappoli verranno disacinati, pigiati e vinificati. Il Caluso Passito Riserva Carlo Gnavi viene prodotto esclusivamente nelle migliori annate ed immesso in commercio non prima di almeno otto anni dalla vendemmia. Attualmente si trova in vendita il 2010, dopo due anni di affinamento in bottiglia. Prende il nome di Revej, “alla vecchia maniera”, la tradizione vuole che le uve siano appassite nel sottotetto della casa. Qui, in un passato non troppo lontano, numerosissime famiglie erano impegnate nella produzione di questa tipologia di vino. Per averlo in occasione delle feste, ma non solo. Per Gnavi, il cui nome è strettamente legato alla produzione di Passito, la scelta di produrre vini fermi e bollicine è piuttosto recente. Ma, in ossequio alla storia tutta, forse è imminente l’uscita di una Riserva Passito di 40 anni, da collezione, la cui cura dell’immagine è stata affidata all’alessandrino Riccardo Guasco, illustratore e pittore di fama internazionale. “Gli è bastata una breve chiacchierata per inserire in armonia tutti gli elementi della famiglia e della cantina e dell’Erbaluce. Ci sono mio zio e mio papà nel momento della raccolta dell’uva e il carro trainato da cavalli come simbolo della storica azienda di carradori”. Ma anche alcuni elementi architettonici che ricordano come Caluso (Oppidum Clausum, ossia “città forte-chiusa”) sia stata una cittadella fortificata, chiusa, conquistata dai Romani, fortificata nel Medioevo. Divenuta poi una Città del Vino, che tuttora ospita la sede dell’Enoteca Regionale dei Vini della Provincia di Torino e dell’Istituto professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente Carlo Ubertini.

Caluso come luogo eletto per questa bacca dorata, esclusivamente coltivata a pergola (Topia) da oltre un secolo, nei suoli di origine morenica che contraddistinguono questo territorio collinare del Piemonte, stracolmo di detriti glaciali granitici, responsabili di quella membruta e complessa stratificazione minerale che autentica i vini canavesani dotati altresì di una spiccata acidità che, se in passato era considerata una criticità, oggi diventa quell’elemento naturale che rende l’Erbaluce una delle uve più interessanti nel panorama delle banche bianche italiane per la su trasversalità e lunghissimo potenziale di invecchiamento.

A seguire il percorso della cantina dal 2016 c’è l’enologo Gianpiero Gerbi, figlio di Vincenzo Gerbi, Ricercatore ed ex Professore presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Torino dei corsi di Enologia, Tecnica Enologica, Tecnologia dei prodotti alimentari territoriali ed Enografia. Accompagna con garbo le cantine ascoltandone gli obiettivi e renderli il più possibili attuabili senza mettere in primo piano la sua impronta stilistica. È consulente per la ricerca della stessa e per valorizzare le peculiarità delle uve chiamato a vinificare.

DEGUSTAZIONE

Erbaluce di Caluso DOCG Turbante Brut 2018

Superato lo strato lievemente affumicato e iodato, il bicchiere racconta di agrumi, canditi e fiori di pesco. L’eco finale, a calice vuoto, rimanda alle stesse sensazioni, che rammentano ciò che il palato ha appena goduto: polpa, freschezza e tensione citrina.

Erbaluce di Caluso DOCG Turbante Pas Dosé 2016

Appena un grammo di zucchero, i mesi sui lieviti parlano attraverso la crema di limone e il pandoro, bisogna attendere per raggiungere una parte più intima del vino, che in profondità racchiude la sua anima salmastra; tra alga nori e sambuco, diventa “alpino” e si fa stratificato all’assaggio, tra pan di zenzero, scorze d’agrumi essiccate. Meno slanciato del Brut, nel suo percorso resta più aderente e addensato al palato.

Erbaluce di Caluso DOCG Cav. Giovanni 2021

Dopo almeno due mesi di affinamento in vetro, il vino si riconosce per il suo slancio, il suo corpo affusolato ma appagante, per buona avvolgenza, centro bocca rotondo e piacevole, chiude con una sottile sensazione salmastra. Lo stesso vino ma del 2017, l’evoluzione da forma alla morbidezza, che si amplia e ritorna con fianchi più morbidi, più compatti. E un’acidità vertiginosa.

Caluso DOCG Vigna Crava 2020

Con una parte di vendemmia tardiva, il vino esce dopo almeno 18 mesi di affinamento in vetro. Un Riserva, di fatto, che ricorda la mirra, gli agrumi cotti, i canditi, le raggiunge, il burro salato. La grassezza non ha il sopravvento anzi si distende accompagnata da una sferzante acidità. C’è un sale di lago, penetrante, potente. Concentrato si godrà nel tempo, con un ulteriore affinamento in bottiglia. È prodotto solo nelle migliori annate in circa 2700 esemplari.

Caluso Docg Passito Riserva Revej

 

2010

La curva degustativa di questo vino si esaurisce dopo molti minuti, al palato. Il naso è come il restare in mare, aspettando l’alba. Si riesce a cogliere il come e il quando la terra si colora. Si anima e assiste al dialogo degli elementi che la vivono. Canditi, miele, datteri, fichi. La dolcezza vira subito su toni più amaricanti, grande compacité direbbero i francesi e complicità, tra acidità e massa.

1994

L’assaggio, superata la maggiore età del vino, ne conferma il momento felice. Tra curry e incenso, ogni naso fa viaggiare, dall’India all’Africa. Sandalo, mango maturo, erbe officinali. Elegantissimo, chiede se si è pronti a entrare in un asse temporale, momentaneo, sì, parallelo, per dialogare di un passato che ritorna, con grande forza. Perché sorsi di questo tipo portano inevitabilmente a interrogarsi sulla vita che c’era a quel tempo. Un velluto. Appena frenante la spinta acida e l’alcol, che protraggono tutto l’effluvio di aromi nella memoria. E lì vi restano.

cantinagnavi.it

Si impressiona e condivide, felicemente, il trasporto di un racconto e l’emozione che rimane vivida nel palato. Per la sua mente, non c’è nulla di più bello di una rappresentazione scritta dei pensieri in forma libera. Dopo la Laurea in Economia, gestione e sviluppo del Turismo, ha dedicato le sue energie a formarsi per scandire ogni momento della sua vita fatta di sorsi, viaggi, incontri, e ogni loro forma di cambiamento.

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