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C'era una volta alle case popolari di South Brooklyn

Cuffy Lambkin è una macchietta. Ubriacone della prima ora, falcidiato nel fisico e nella mente, bontempone. Ma anche raffinato esperto di tutto lo scibile delle piante, allenatore e arbitro di baseball, scopritore di talenti, servitore della chiesa. Per tutti è Sportcoat, il protagonista de Il diacono King Kong, ultimo romanzo dello scrittore statunitense James McBride, edito da Fazi Editore, in libreria da oggi, martedì 17 gennaio.

Sportcoat è diacono part-time nella chiesa battista di Five Ends, King Kong è l’intruglio torcibudella che ingerisce dalla mattina alla sera, che beve da solo appena sveglio la mattina, o in compagnia dell’amico fidato di una vita, Hot Sausage. Nulla sembra avere un senso apparente nelle sue giornate, ripetitive, fatte di lavoretti qua e là e fiumi di alcol. Ma il diacono Cuffy Lambkin, si legge nell’incipit del romanzo

 diventò un morto che cammina […] il giorno in cui […] piazzò una vecchia Colt calibro 38 in faccia a uno spacciatore diciannovenne di nome Deems Clemens e tirò il grilletto.

Da quel momento, che è poi il principio del romanzo, tutto cambia. Siamo nel settembre del 1969 a Brooklyn, nel cortile delle case popolari Causeway. Il perché Sportcoat prema il grilletto rimane un mistero per tutti, per la sua comunità, anche per se stesso. Da una impensabile esplosione di violenza, si dipanano le intricate vicende di tutte le persone che, direttamente o indirittamente, sono coinvolte nella sparatoria. E quindi la vittima, i residenti afroamericani del quartiere che hanno assistito attoniti alla scena, gli spacciatori di quartiere e i fornitori, la malavita locale, i poliziotti chiamati ad indagare sul caso, i membri della chiesa a cui appartiene Sportcoat e Sportcoat stesso.

Tutti i personaggi appaiono scollegati tra loro, a volte distanti anni luce. Cominci a leggere il romanzo e ti chiedi che c’azzecchino un diacono fuori fase e perditempo e le severe servitrici di una chiesa di quartiere, con mafiosi e contrabbandieri, trafficanti di droga, e ancora con un misterioso magnate irlandese che produce bagel e una colonia di voraci formiche che una volta l’anno, in fila indiana, fanno capolino nei quartieri popolari. Molto succede ai personaggi coinvolti nella vicenda, e il rischio è che tutti gli ingranaggi non riescano ad incardinarsi l’uno sull’altro senza strani contorsionismi. Ebbene, qui sta l’immensa bravura di McBride, che non ha vinto un National Book Award per caso, come mi si potrebbe far notare: tutte le trame parallele si intersecano in maniera cristallina, senza mai appesantire la narrazione e portando  il lettore ad un grado di coinvolgimento e stupore sempre maggiore con il procedere dei capitoli.

Gioco a carte scoperte: se mi dicessero che in questo 2023 non leggerò nulla di più appassionante de Il diacono King Kong, non ne sarei dispiaciuto. E i motivi sono molteplici. McBride dipinge una moltitudine di situazioni e caratterizzazioni che convergono progressivamente e sapientemente, che oscillano tra fede e supertizione, innamoramenti timidi, e fregature colossali. Ci sono il dramma poliziesco e l’azione degna del miglior film thriller. C’è la suspance, ma ci sono anche l’ironia e la critica sociale. A ben vedere, non manca nulla ad un romanzo enorme, nemmeno i colpi di scena. Siamo di fronte ad un’opera in fin dei conti leggera, che però appassiona e fa riflettere come poche altre, con sarcasmo e senza mai prendersi sul serio fino in fondo, sui meccanismi ingiusti sui quali si reggeva la società americana agli sgoccioli degli anni ’60.

Ma soprattutto ci sono i personaggi. E che personaggi. McBride li tratteggia con assoluta sapienza, li rende odiosi agli occhi del lettore e poi glieli fa amare. Inarrivabile, in cima a tutti, c’è quell’essere paradossale che è Sportcoat. Grottesco e bizzarro, apparentemente incapace di intendere e di volere, barboneggiante e senza scopo. Forse l’unico, però, in grado di trovare il bandolo della matassa quando necessario. C’è il suo compagno di merende, Hot Sausage: la parte buona della coppia, s’avrebbe a dire, ma forse ben più stralunato del compare. Sorella Gee se non ricorda da vicino Aretha Franklin in The Blues Brothers, in camicione e pantofole, poco ci manca. L’Elefante è il contrabbandiere tenerone e cuore di mamma, Potts il sergente di polizia che più che il bastone ama usare la carota. Personaggi paradossali, ma profondamente autentici.

Voto 9+

Trama 8,5 | Stile 9 | Coinvolgimento 10

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