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Corteo di “Non una di meno” per l

In migliaia in un corteo festoso con la musica e i tamburi, ma per protestare. “Non voglio la mimosa ma il tuo rispetto”, lo striscione in testa a una lunga marcia di donne e uomini, ragazze e ragazzi, partito da piazza Duca d’Aosta e arrivato a piazza della Scala per protestare davanti a Palazzo Marino, sede del Comune, al quale è stato imputato “il disinvestimento sui servizi sociali, l’affaire delle colonie estive, il caro asili pubblici che sono pochi e costosi”.

Durante la manifestazione, un episodio su tutti, ovvero la protesta contro la statua del giornalista Indro Montanelli in via Manin: “Questa statua verrà giù – hanno detto al megafono gli attivisti -, non sappiamo bene quando e in che giorno, ma la statua verrà giù”. Davanti all’ingresso del parco è stato esposto uno striscione con scritto “Stupro, pedofilia e colonialismo non sono errori”.

(fotogramma)

Organizzato dal movimento femminista e transfemminista “Non una di meno”, il corteo autorizzato partito intorno alle sette di ieri sera si è fermato inizialmente davanti alla Regione Lombardia, attaccata “per lo smantellamento della sanità pubblica e il caro affitti”; poi davanti al Fatebenefratelli che secondo le organizzatrici della protesta “è l’ospedale di Milano in cui è più difficile accedere per l’interruzione di gravidanza”; è proseguito verso i giardini Montanelli dove è stata lasciata una targa che riporta il nome “Giardini pubblici di Porta Venezia”, con una protesta all’altezza di via Manzoni “contro il lusso, vista la settimana della moda”, e un momento dedicato all’Iran in piazza della Scala con il painting di alcune attiviste iraniane del corpo di ballo del Sud America della Murga (teatro di strada) che hanno dipinto delle tele.

(fotogramma)

Poco prima, in piazza Duca d’Aosta, si erano esibite in una performance transfemminista undici ragazze del collettivo artistico di lotta sociale Our Voice, salite sui tubi di alluminio di una croce costruita da due artiste americane con la scritta, in cima, “Dio, patria, famiglia”: secondo Sonia Buongiovanni di Our Voice, “quel detto fascista e patriarcale è ancora all’interno del nostro governo come motto che noi ripudiamo, mentre la croce rappresenta il patriarcato”. Patriarcato, sessismo, gap salariali, femminicidi, le parole sulla bocca di tutte. Anna, 59 anni, professoressa di liceo: “A scuola noto delle ragazze che mi dicono: siccome mio fratello ha bisogno di soldi, io non posso partecipare al viaggio di istruzione, in casa sono io che aiuto e mio fratello no, lui si veste come vuole e io no”. Marta e Ignazia, dalla Brianza, dicono che bisogna ricordare agli uomini che fanno gli auguri alle donne per l’8 marzo “che questa non è una festa ma un giorno di protesta. Venite a lottare con noi, non ci va più bene che ci facciate gli auguri”.

(fotogramma)

“Ai maschi non succede di avere paura a uscire la sera, noi abbiamo paura”. Le trentenni Miriam, Elisa e Giulia sono parte del gruppo “Le pupazzare” e hanno costruito un pupazzo, “simbolo del transfemminismo” con polistirolo, cartoncino e dei teli. Karin, 20 anni, studia scienze politiche alla Statale, la prima università ad avere installato distributori di assorbenti, a 20 centesimi l’uno: “Ora abbiamo preparato una mozione per la distribuzione gratuita degli assorbenti, pretendiamo ed esigiamo pari diritti e opportunità”. Beatrice, 23 anni, studentessa di giurisprudenza: “Abbiamo portato il tema del diritto all’aborto e ricevuto minacce da collettivi neofascisti che hanno affisso uno striscione davanti all’Università scrivendo “abortisci una femminista””.

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