L’ambientalismo come strategia industriale. La Commissione europea ha svelato i dettagli del piano promesso da mesi per mettere l’economia del Vecchio Continente al passo con gli obiettivi di riduzione della CO2 e di sganciamento dalle dipendenze dai Paesi terzi. Ma diventare autonomi dalla Cina, come spiegato da Serena Console, sarà tutt’altro che facile, vista la supremazia del Dragone in fatto di estrazione e trasformazione delle materie prime. Di qui la mossa Ue che tanti osservatori hanno già definito una svolta protezionista che rischia di riportare il continente alla pianificazione economica degli anni Sessanta. Il cambio di strategia si basa sugli incentivi al ‘made in Europe’ contenuti nel Net-zero industry act.
Zero emissioni nette
Le tecnologie ‘net-zero’, che danno il nome al testo, sono quelle che avvicinano l’Europa alla cosiddetta neutralità climatica, ovvero alle zero emissioni nette tra quelle prodotte dalle attività inquinanti e quelle assorbite dalla natura o dall’uomo con metodi di ‘cattura’ della CO2. Il carattere protezionista del Net-zero industry act emerge dal suo obiettivo principale: il 40% del fabbisogno Ue delle tecnologie pulite – entro il 2030 – dovrà essere prodotto in Europa. Il testo individua otto settori ‘net-zero’ strategici che dovranno essere ‘made in Europe’: tecnologie solari fotovoltaiche e termiche; eolico onshore e rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile; biogas e biometano; strumenti di cattura e stoccaggio della CO2; tecnologie di rete. Incentivare e sussidiare massicciamente – anche con aiuti di Stato – la produzione di queste tecnologie nell’Ue è una scelta che ha fatto storcere il naso a tanti economisti ed esperti di mercati delle materie prime che hanno messo in risalto gli aspetti potenzialmente dannosi per la competitività.
Le critiche
Tra le voci più critiche c’è quella del tedesco Gunther Oettinger, commissario europeo al Bilancio nell’esecutivo Ue guidato da Jean-Claude Juncker. “Questa direzione è piuttosto pericolosa”, ha affermato l’esponente della precedente Commissione europea, che ha definito la nuova proposta di Ursula von der Leyen “non da mercato unico, bensì da economia pianificata e centralizzata. Planwirtschaft, come si dice in tedesco”. Il connazionale di von der Leyen – peraltro proveniente dalla sua stessa famiglia politica di centrodestra, la Cdu – ha accusato l’attuale Commissione di aver snaturato il progetto europeo. “L’Europa ha sempre riguardato il mercato unico, gli investimenti privati, la concorrenza e la competitività”, ha ricordato Oettinger.
La corsa ai sussidi
D’altro canto la Commissione sostiene di non aver avuto altra scelta di fronte all’attuale contesto economico e geopolitico. Gli Usa, da una parte, hanno introdotto un aggressivo piano di sovvenzioni alla propria industria da oltre 350 miliardi di euro, l’ormai famoso Inflation reduction act, che rappresenta per l’Europa un rischio di desertificazione industriale. I sussidi promessi da Joe Biden, secondo l’organizzazione Transport & Environment, mettono a rischio “il 68% della capacità produttiva di batterie agli ioni di litio prevista per i prossimi anni” in Europa dato che “gli Usa stanno diventando particolarmente attraenti per la nascente industria delle batterie”.
Anche il Giappone ha introdotto un piano di trasformazione verde della propria economia che mira a investire circa 140 miliardi di euro recuperati con i titoli ‘green’ che Tokyo immetterà sul mercato azionario. E ancora: l’India ha varato il Production linked incentive scheme per migliorare la competitività in settori come il solare fotovoltaico e le batterie, mentre Regno Unito e Canada hanno annunciato i rispettivi piani di investimento nelle tecnologie ‘net-zero’. E se sul piano economico il principale competitor rimangono gli Stati Uniti, a livello geopolitico l’Ue deve guardarsi le spalle soprattutto dalla Cina.
Le tensioni con Pechino
Il ricatto sul gas della Russia di Putin, che ha cercato di convincere l’Ue a non difendere l’Ucraina con la minaccia di tagliarle le preziose forniture di metano a basso costo, è stato un campanello d’allarme per Bruxelles. Il Vecchio Continente è infatti riuscito a liberarsi dalla dipendenza da Mosca stringendo accordi con altri Paesi e aumentando la produzione domestica di energia. Ma appare ben più difficile che l’Ue possa sopportare un simile ricatto da parte della Cina sulle materie prime o sulle tecnologie ‘net-zero’ indispensabili per attuare il Green deal. Le nuove tensioni tra Pechino e Washington e il rischio che il Dragone possa intervenire militarmente a sostegno della Russia o contro Taiwan hanno convinto Bruxelles che la dipendenza dalla Cina vada quantomeno ridotta. Di qui il pacchetto protezionista di incentivi messo in campo dalla Commissione.
Il nuovo piano industriale dell’Ue: più rinnovabili e meno Cina
Accelerare su rinnovabili e ‘nuovo’ nucleare
Oltre agli incentivi economici che gli Stati membri potranno introdurre con il benestare di Bruxelles, la Commissione ha fissato le nuove regole sui tempi di autorizzazione dei progetti ‘net-zero’. In particolare l’Ue ha fissato due tetti di 9 mesi per i progetti che coinvolgono tecnologie strategiche net-zero (come i pannelli solari) con una capacità produttiva annua inferiore a 1 Gw e 12 mesi per progetti dello stesso tipo con capacità superiora a 1 Gw.
Altre tecnologie net-zero, ritenute però non strategiche, saranno supportate dalle nuove misure, seppure in misura diversa. Questa seconda categoria include le tecnologie per i combustibili alternativi sostenibili, le tecnologie avanzate per produrre energia nucleare con scarti minimi (il cosiddetto nucleare di nuova generazione), i piccoli reattori modulari e i relativi combustibili a minore impatto. Anche questi progetti beneficeranno di tempi accelerati di autorizzazione: fino a 12 mesi per i progetti di produzione di tecnologia ‘net-zero’ con una capacità produttiva annua inferiore a 1 Gw e 18 mesi per progetti superiori a 1 Gw. Incentivi che mirano ad aumentare considerevolmente la capacità produttiva di elettricità in Europa per sostenere – ad esempio – la crescita di consumi prevista con la diffusione delle auto elettriche, ritenute dalla Commissione un alleato fondamentale nella trasformazione ‘green’ dell’economia europea.