Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura per l’Infanzia, Fine di Febbraio di Diego Valeri; il poeta dalla fine allegrezza e la perenne gioia fanciullesca imbevuta di natura, arte e un’infanzia lontana.

Fine di Febbraio, Diego Valeri e la gioia apparente della rinascita

Fine Febbraio Diego Valeri - Credits: neveappennino.it
Credits: neveappennino.it

I versi di Fine di Febbraio di Diego Valeri appartengono alla raccolta  Poesie, Mondadori, 1967. Diego Valeri è stato un insegnante di letteratura e latino, un traduttore e, soprattutto, uno scrittore di libri e filastrocche per bambini. La sua è una poetica riflessiva, quasi una poesia d’apparenza: anche nei componimenti che celebrano una rinascita, come Fine di Febbraio, o nei versi dedicati ai bambini l’intento di Diego Valeri è quello di destare le coscienze, lanciando messaggi ben precisi.

Le poesie di Diego Valeri, infatti, sono solo apparentemente felici; una parvenza data soprattutto dalle immagini quasi sempre gioiose e fanciullesche e dal ritmo a mo’ di filastrocca scanzonata. Una delle sue raccolte poetiche più importanti, dedicate ai bambini, risale al 1928:  Il campanellino. Nei versi seguenti si ritrovano quasi tutti gli elementi della poesia valeriana:

Un azzurro nel fosco dischiuso
ricomincia gioia ai miei occhi;
tre nubi una nube che si sfiocchi
basta anch’essa al mio amore illuso;

un barlume d’oro che piova
su zolle nerastre grasse,
è come se ricreasse
il mondo, e aprisse una vita nuova.

La formazione letteraria di Valeri si compone di tre elementi: Giovanni Pascoli, da cui introietta il lessico e le forme metriche; D’Annunzio, specialmente l’Alcyone e gli influssi di Verlaine. In Fine di Febbraio appare chiara l’ispirazione pascoliana nell’uso della struttura sintattica e delle parole ma, soprattutto, ciò che si evince dai versi è l’importanza della natura: una natura che ha una vita autonoma, distaccata da qualsiasi immagine antropomorfa.

Nella prima strofa l’azzurro che si fa largo fra il cielo grigio penetra nello sguardo del poeta; è un elemento che basta a dargli gioia insieme a una nube che si distacca, simbolo di una rinascita che sta per giungere, insieme alla primavera. Nella seconda strofa, il poeta descrive la pioggia paragonandola a un barlume d’oro, simbolo di speranza, auspicando che si riversi sulle zone livide dal freddo della stagione corrente; la precipitazione dorata è messaggera di potenza creatrice, poiché apre il mondo, dopo i geli rigidi dell’inverno, a una nuova vita.

Una stagione vivace che nasconde un’intensa riflessione

La poesia di Diego Valeri si presente all’apparenza facile e da questa asserzione non è esclusa Fine di Febbraio. Gli influssi di Alcyone sono sempre presenti, così come gli aneliti alla lontana infanzia, luogo di innocenza e intimo fiore da cui sboccia quasi un ”fanciullo adulto”; così come l’importanza della natura come rifugio:

Stagione benigna e vivace,
che tutto è attesa e annuncio divino,
e il cuore si crede vicino
al suo vero e alla sua pace.

Febbraio è descritto nella terza strofa come una stagione vispa ma buona dove si è sospesi nell’attesa di un’annunciazione celeste: la primavera, cui al sol pensiero il cuore elimina i rabbui e si sente in pace. Valeri ha accolto in sé tutta la filosofia del fanciullino pascoliano, andando alla ricerca della meraviglia all’interno della natura.

Domani… domani lo vedremo,
caduta la tenda oscura,
il volto della gioia più pura,
il riso del bene supremo.

Ma domani sarà la solita festa
di sole, di turchino, di verde,
in cui la vita inebriata si perde…
E dell’anima che cosa resta?).

Nella quarta strofa di Fine di Febbraio, Diego Valeri attende la gioia del domani; quando il tempo mite sopraggiungerà, sgretolerà le neri coltri invernali – simbolo di dispiaceri più alti – per lasciar posto al riso, all’alta gioia, come una primavera rinnovata insieme alla potenza dei suoi cicli. L’ultima strofa, seppur possa sembrare enigmatica, disvela la poetica di Valeri: il tiepido sole ritorna in festa, la volta si tinge di turchino e il verdeggiare rigoglioso si precipita a tingere quelle strade in cui, allegra di inebriante letizia, si perde l’esistenza. Ma è una mera illusione, forse? Ed ecco il quesito: cosa resta della purezza dell’anima, dei dispiaceri o le angosce; forse quest’ubriachezza di gioia è solo fallace.

Stella Grillo

Foto in copertina: neveappennino.it

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