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Il brefotrofio di Bergamo, Vittorio Feltri: “Preciso come un orologio svizzero, caloroso come una grande famiglia” – BergamoNews

Bergamo. Grazie alla volontà di Giuliano Maffeis e del giornalista e politico Vittorio Feltri, dopo una lotta durata ben 5 anni, è stata finalmente svelata la targa in memoria del brefotrofio
di Bergamo, dove ora sorge l’Accademia della Guardia di Finanza.

La struttura ha accolto, tra il 1928 ed il 1975, più di cinquemila bambini abbandonati. Qui venivano ospitate anche le madri, che rimanevano per circa 2 anni, nel mentre i bambini crescevano e venivano poi adottati.

Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, afferma con grande orgoglio: “La targa che oggi portiamo vuole ricordare che questo edificio non fu solo un luogo di sofferenza, ma anche e soprattutto, un luogo di cura competente, di umanità e di speranza, un luogo dove l’assistenza amorevole ed efficiente ha regalato a migliaia di bambini la concreta possibilità di un futuro migliore”.

Presente alla cerimonia anche il giornalista, saggista e politico Vittorio Feltri, che all’età di 20 anni ha lavorato nel brefotrofio per qualche anno, lui stesso dichiara: “Devo confessare di essere commosso e soprattutto grato al sindaco di Bergamo che ha accolto la nostra richiesta affinché il ricordo del brefotrofio rimanesse vivo nella mente e nel cuore dei bergamaschi, tutti conoscevano questo luogo. I bambini che vivevano qui non erano tristi, erano bambini allegri, molti di questi li ricordo ancora. Era meraviglioso e funzionava tutto perfettamente, come un orologio svizzero. Anche l’ambiente era stimolante, è istintivo comportarsi con tenerezza nei confronti dei bambini”.

“Davo ai bambini i cognomi più diffusi come Belotti, Finazzi o Regazzoni, per evitare che dando i soliti nomi obbligatori come “Diotallevi” o “Diotaiuti” si rendessero riconoscibili anche dopo molti anni, per evitare che rimanesse quel marchio. Mi hanno cacciato poco dopo per questa cosa, naturalmente contro la legge, e sono stato poi trasferito a lavorare al manicomio”.

Il brefotrofio di Bergamo,

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Il brefotrofio di Bergamo, svelamento di una targa

“L’atmosfera era talmente familiare, che siccome sono rimasto vedovo all’età di 22 anni, decisi di portare qui le mie due gemelline, anche loro presenti alla cerimonia perché gli è rimasto il timbro di questo posto. Qui ho conosciuto anche la mia attuale moglie, con cui sto da ormai 55 anni, lei era una puericultrice della struttura”.

Giuliano Maffeis, uno dei cinquemila bambini “abbandonati”, dichiara che in questi 5 anni ci sono stati diversi alti e bassi: “ho voluto fare tutto di testa mia non appoggiandosi a nessuna associazione o gruppo Facebook (forse anche sbagliando), ma finalmente ho ottenuto ciò che volevo da anni. Coincidenza vuole che oggi è anche il giorno del mio sessantesimo compleanno”.

Inoltre racconta: “Sono stato in questo edificio per quasi due anni, il mio cognome all’interno dell’istituto era Lanciani, poi sono stato affidato ad una famiglia della Val Seriana, ma la mia
adozione definitiva è arrivata con il decreto del Tribunale dei minori di Brescia nel 68. Ho scoperto di essere stato adottato all’età di 6 anni”.

LE TESTIMONIANZE

Carmen Vitali, ex puericultrice del brefotrofio, afferma: “Sono stata assunta nel 1974, era la mia prima esperienza lavorativa ed ho lavorato per circa un anno e mezzo fino a quando è stato poi chiuso, è stata un’esperienza molto arricchente ed interessante, soprattutto per il contatto con i bambini, che sono da sempre la mia passione, ora lavoro nel reparto di neuropsichiatria infantile sempre a Bergamo”.

Giusella Rocca dichiara: “Sono stata lasciata al brefotrofio dalla mia mamma di pancia, sono rimasta per un anno, un mese ed un giorno. Poi sono arrivati i miei genitori adottivi, due splendide persone, che mi hanno permesso di crescere e mi hanno dato tanta gioia, felicità e tanto amore, ma nel mio cuore allo stesso tempo mi è rimasta la ricerca della mia vera mamma e, tramite il gruppo di noi bambini abbandonati, stiamo facendo diverse ricerche che consiglio a tutte le persone nella mia situazione per poter soddisfare questa nostra mancanza, è un augurio che faccio a tutti”.

“Non sono ancora riuscita, purtroppo, a conoscere mia mamma – aggiunge Rocca -. I documenti non sono più stati ritrovati, come quelli di tante altre persone che si trovano nella mia stessa situazione. Questa è una ferita che ti segna per tutta la vita, le mamme dovrebbero pensarci bene prima di compiere questi gesti”.

Cinzia Invernicci ricorda: “Sono nata nel 1963 e sono rimasta qui circa un anno, fino al 1964, e sono stata adottata da due genitori fantastici. Quasi 50 anni dopo, grazie ad un’indagine del tribunale di Brescia, ho avuto la fortuna di conoscere la mia vera mamma. Lei mi ha raccontato che deve esserci stata una comunicazione sbagliata, era tornata in Svizzera, ma quando è venuta a riprendermi io non c’ero più, ero sparita. Una volta riuscita a rintracciarla, siamo rimaste insieme un paio di anni in cui siamo riuscite a frequentarci anche abbastanza costantemente, purtroppo è venuta a mancare durante il periodo del Covid e non ho potuto starle accanto, ma sono contenta di averla conosciuta ed è nato un bellissimo rapporto con lei”.

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