Maddalena Fossati e la candidatura della cucina italiana a Patrimonio Unesco: «Ora dobbiamo crederci tutti»

«Un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali». Il dossier che candida La cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco la descrive così: un immenso racconto di tradizioni e materie prime in cui ciascun italiano riesce a identificarsi con chiarezza. 

Che si parli di bagna caoda o di cassata, di frico o di porceddu, non c’è dubbio che in quella mappa geografica dei sapori l’Italia trova il modo migliore e più immediato di raccontare se stessa, in tutte le sue diversità. È anche per questo che la candidatura della Cucina Italiana «tra sostenibilità e diversità bioculturale» è un traguardo fondamentale per l’intero Paese, per la sua cultura, la sua storia, per i tanti nomi che a quella candidatura hanno lavorato e soprattutto per Maddalena Fossati, che con La Cucina Italiana ha lavorato alacremente per anni per arrivare a questo risultato, arruolando cuochi, imprenditori, testimonial che raccontassero il ruolo universale ricoperto dal nostro patrimonio gastronomico.

Fino al 23 marzo, giorno in cui è arrivata l’ufficialità da parte del Ministero della Cultura: il primo passo verso un percorso che potrebbe portare a un riconoscimento fondamentale per il nostro Paese. 

Maddalena Fossati, come ha accolto la notizia della candidatura? 
«Casualmente il 23 è anche il giorno del mio compleanno: evidentemente c’era una connessione con questa data. Ero a Copenaghen e ho convocato tutta la comunità italiana per attendere insieme la decisione. Abbiamo lavorato tanto e sapevo che potevamo farcela, ma ho dovuto aspettare l’incontro della Commissione per crederci davvero. Sono abituata ad aver bisogno di vedere le cose fatte prima di tirare un sospiro di sollievo: sarà che lavoro nell’editoria e ogni volta un numero non è finito finché non lo vedo stampato». 

Perché la cucina italiana dovrebbe essere Patrimonio Unesco?
«Semplicemente perché è il valore identitario più grande che l’Italia ha. Intorno al concetto di tavola converge tutto ciò che siamo: parliamo sempre di cibo, perfino mentre mangiamo. Leggiamo ricette, le tramandiamo, cuciniamo ogni volta che possiamo. Abbiamo la più grande biodiversità del mondo, e una cucina che per sua tradizione si fonda sulla sostenibilità. Siamo tanti, diversi, ma ci riconosciamo sempre sotto un unico cappello che ci unisce tutti, anche gli Italiani che stanno all’estero: quel cappello è la cucina italiana». 

La cucina come identità, insomma. 

«Un’identità fortissima: in questi giorni ho ricevuto messaggi da tutto il Pianeta. Cuochi italiani che vivono all’estero e che mi hanno detto grazie, perché con questo traguardo si sono sentiti coinvolti nella condivisione di un valore importante». 

Che prospettive può avere questa candidatura per il Paese? 
«Il nostro cibo è innanzitutto un grande motore turistico, una delle principali ragioni per cui le persone vengono in visita nel nostro Paese. Ma la candidatura ha un senso molto più ampio: è come per un attore o un’attrice vincere un Oscar: un riconoscimento a un lavoro fatto negli anni, un premio che dà prestigio e valore nutrendo anche un po’ l’autostima, cosa di cui abbiamo sicuramente bisogno in un periodo che non sempre è stato facile». 

MILAN, ITALY – MAY 17: Chef Massimo Bottura attends the press conference for the ‘Al Meni’ International Cusine Festival on May 17, 2018 in Milan, Italy. (Photo by Pier Marco Tacca/Getty Images)Pier Marco Tacca/Getty Images

Qual è stato il contributo più importante a questa campagna? 
«Sicuramente Massimo Bottura: un uomo che vede gli orizzonti più lontani, un uomo con grandi valori e con una dialettica in grado di raccontare perfettamente quanto la cucina sia soprattutto cultura. Lui paragona i ristoranti alle botteghe rinascimentali, quelle dove un tempo i giovani andavano a imparare un mestiere. È salito a bordo di questo progetto subito, e ne è stato un grande protagonista. Ma ci sono stati anche tanti altri: Davide Oldani, Antonia Klugmann, Carlo Cracco, Niko Romito e Antonino Cannavacciuolo. Francesco Panella, ristoratore di grandissimo livello, Mauro Uliassi, Cristiano Tomei e tanti cuochi e cuoche in giro per il mondo, come Lidia Bastianich, the Queen of Italian food in America. Sono davvero tanti i nomi che hanno creduto in questo risultato e ci hanno sostenuto nel percorso per ottenerlo». 

Ora qual è il prossimo passo? 
«Fare tanta campagna per far capire che questa candidatura ha un livello culturale essenziale per il nostro Paese, coinvolgendo gli Italiani, le Italiane e tutti quelli che amano questa cucina. Dobbiamo tutti sostenere l’idea che diventi un patrimonio dell’Unesco: nei fatti, la nostra cucina è già un patrimonio molto sentito dall’umanità intera, è la più amata del Pianeta. Ora è arrivato il momento che questo venga ufficialmente riconosciuto». 

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