“Signori imperadori, re e duci e˙ttutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e˙lle diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e˙nnobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e˙ll’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza ninuna menzogna”.
Il proemio del Milione, resoconto accurato delle avventure di Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 – Venezia, 8 gennaio 1324), riassume l’intento profondo dello scritto, cioè quello di convincere il lettore, circa la narrazione di eventi incredibili e l’incontro con figure straordinarie. Nel breve passaggio in questione, Rustichello da Pisa, navigato scrittore di romanzi cavallereschi, procede con metodo, rivolgendosi in un primo momento a un pubblico eterogeneo e diversissimo, per cultura e ceto. Procede anticipando la natura eccezionale e meravigliosa degli argomenti trattati, cercando di catturare l’interesse del lettore. Si fa garante della serietà e dell’onorabilità di “messere Marco Polo”, cittadino di Venezia.
Conclude, infine, sottolineando l’attendibilità delle vicende narrate, frutto di esperienze dirette vissute dallo stesso Marco Polo o udite da persone degne di fiducia. Viste, udite o raccontate, prive di errore o inganno. La decisione di dettare a Rustichello “questo racconto – che era un po’ storia, un po’ libro di avventure, un po’ diario dei costumi di altri popoli, un po’ favola” (Gabriella Piccinni, Il Medioevo, ed. Bruno Mondadori, 2004) durante la prigionia comune a Pisa, nel 1298, a seguito della battaglia delle isole di Curzola, uno dei tanti conflitti dell’epoca tra Genova e Venezia, si sarebbe rivelata una scelta decisamente felice per il successo futuro dell’opera, “contribu[endo] enormemente a diffondere l’immagine dell’Oriente come paese delle meraviglie e delle ricchezze” (Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, ed. Sansoni, 2000).
Il Milione, nonostante i suoi sette secoli di vita, si conferma un successo editoriale senza tempo, estremamente moderno e accattivante, profondamente riconoscente tanto della sagacia e dell’intelligenza di Rustichello quanto del clima di pace garantito dalla pax mongolica, condizione che permise a uomini dotati di ingegno e fantasia di intraprendere viaggi, conoscere mondi e tessere relazioni politiche, economiche e culturali: “Furono […] Nicolò e Matteo Polo i primi occidentali a varcare nel 1266 le porte della reggia di Kubilai, il Khan del Catai e artefice della pax mongolica, un sistema politico coerente, immenso e finalmente pacificato.
Tornati in patria e poi ripartiti nel ’71 con il giovanissimo Marco, i veneziani aprirono agli italici – coraggiosi missionari come Giovanni da Montecorvino, primo legato pontificio in Cina, e Odorico da Pordenone e una somma di intraprendenti mercanti – le porte del grande impero” (Marco Valle, Patria senza mare. Perché il mare nostrum non è più nostro. Una storia dell’Italia marittima, ed Signs Books, 2022). L’idea del libro nacque in una cella, ma le storie narrate si svolsero in luoghi pacificati: un’incongruenza davvero singolare che anima e conferisce unicità, oggi come allora, alle
pagine del testo, forse anche perché “fino a oggi, da quando Iddio Signor Nostro plasmò colle sue mani il nostro primo padre Adamo, non ci fu mai nessuno, né cristiano, né pagano, né tartaro, né indiano, né d’altra razza che si voglia, che abbia conosciuto ed esplorato delle diverse parti del Mondo, e delle sue grandi meraviglie, quanto ne esplorò e ne conobbe questo messer Marco” (Rustichello da Pisa, 1298).
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