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Perché l'Italia non ha una normativa sul lobbying?

Lobbying

L’Italia, Paese in cui la relazione tra lobbista e decisore è avvolta da un velo impenetrabile, è una delle poche democrazie al mondo a non avere una legge organica che regoli il rapporto tra parlamentari in carica e Stati esteri. Il governo Meloni colmerà certe “scappatoie”? Un estratto dell’articolo di Pier Luigi Petrillo, professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss Guido Carli, per il quotidiano Domani

La vicenda europea rappresenta un campanello d’allarme per il contesto italiano dove la relazione tra lobbista e decisore è avvolta da un velo impenetrabile e dove continuano a mancare, nonostante lo “scandalo” Renzi, norme volte a regolare il rapporto tra parlamentari in carica e stati esteri.

L’Italia è una delle poche democrazie al mondo a non avere una legge organica in materia; il legislatore è intervenuto solo in modalità difensiva, introducendo nel codice penale il reato di «traffico illecito di influenze» che punirebbe chiunque indebitamente si fa dare o promettere denaro per la propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale.

La norma, per come formulata, ha vizi di incostituzionalità ed è sostanzialmente inapplicabile, come ha evidenziato l’ufficio studi della corte di Cassazione precisando che, in assenza di una legge volta a definire i limiti leciti dell’influenza, è impossibile determinare i casi di influenza illecita. L’assurdità di tale disposizione è stata ricordata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in una intervista al Corriere della sera.

Nella scorsa legislatura la Camera ha approvato un disegno di legge in materia, presentato da Francesco Silvestri (M5s), poi arenatosi in Senato sotto i colpi di migliaia di emendamenti.

Tuttavia, quel provvedimento nulla disponeva sul lobbying da parte di rappresentanti di stati esteri né fissava divieti di assumere incarichi da parte degli ex parlamentari (molti dei quali si improvvisano lobbisti) o da parte di parlamentari in carica nei confronti di stati esteri.

Lo scandalo europeo dovrebbe ora indurre il governo Meloni a colmare le “scappatoie” italiane. Le direzioni potrebbero essere due: da un lato imporre obblighi di trasparenza in capo ai decisori pubblici (il che non vuol dire compilare dei moduli assurdi come previsto inutilmente dal decreto legislativo n. 33 del 2013) e, dall’altro, disciplinare i diritti dei lobbisti in modo da fissare la cornice entro cui operare.

Al tempo stesso serve che il parlamento adotti un codice di condotta dei propri membri che vieti espressamente rapporti economici con stati esteri e loro rappresentanti. Il ministro Nordio ha dichiarato che è urgente agire. Speriamo sia di parola.

(Qui la versione integrale pubblicata su Domani)

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