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Messina Denaro e il carro dei vincitori

E così, per la prima volta nella storia della Repubblica, la cattura di un boss della mafia diventa uno spot per il Governo in carica. Mentre le agenzie lanciano la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il più ricercato di tutti i latitanti, il presidente Giorgia è già in viaggio verso Palermo per la prima tappa del “tour”, che prevede video promo e photo-opportunity con espressione contrita sotto la Stele di Capaci, il monumento in ricordo della strage del 23 maggio del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Fatto immortalare l’omaggio da tutte le angolazioni possibili, eccola salire in auto verso un altro giro, un’altra passerella: questa volta la location è il Tribunale, dove oltre ai tanti cronisti incontra il Procuratore capo Maurizio De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido, i veri padri dell’operazione. 

I precedenti

Non era mai accaduto che la politica utilizzasse in maniera così spudorata un fatto di questo tipo, un fatto che dovrebbe rappresentare una vittoria dello Stato nel suo complesso, intestandosi un ruolo: non lo fece Giuliano Amato nel 1993, quando fu catturato Totò Riina; non lo fece Silvio Berlusconi nel 2006, fresco di sconfitta alle elezioni, quando Giuseppe Provenzano fu assicurato alla Giustizia. E poco importa se nel programma di Fratelli d’Italia e nel discorso di insediamento letto nelle aule del Parlamento dall’attuale Presidente del Consiglio la lotta alla mafia fosse più latitante del capo di Cosa Nostra: l’occasione di oscurare le tensioni nella maggioranza, in queste ore alle prese con lo scoglio della ratifica del MES (altro cavallo di battaglia degli ultimi anni di opposizione che rischia di trasformarsi in un boomerang), era davvero troppo, troppo ghiotta.

E se gli esponenti del Governo non dicono assurdità ma le lasciano intendere, cercando per quanto possibile di mediare tra propaganda fuori luogo e garbo istituzionale, la loro claque perde il controllo e i freni inibitori vanno a farsi benedire. Così, in omaggio alla satira, il “giornale” di riferimento della destra titola: “Arrestato Messina Denaro. BINGO. Un altro boss arrestato con la destra al governo. E la sinistra rosica”. A far peggio di Libero, l’ex direttore del Tg2, di RaiUno e di RaiSport, Mauro Mazza, che twitta: “Non trovo la dichiarazione di @robertosavianio in cui plaude al governo di @GiorgiaMeloni per l’arresto di @messinadenaro”; a chi gli fa notare che al netto del pensiero discutibile tagga un profilo con quattro follower che ovviamente non appartiene all’ex boss di Cosa Nostra, risponde: “ma da uno a mille… quanto vi rode?”. A vincere per distacco è però Hoara Borselli, opinion leader del pensiero “sovranista”, che attacca: “Ma chi, pur di non riconoscere il successo storico dell’arresto di #Denaro dopo tre mesi dall’insediamento del governo Meloni, dice: “Facile, era a casa sua”, non si chiede come mai fino a ieri a casa sua nessuno ci abbia guardato?”. Grammatica a parte, l’opinionista in forza a Mediaset e al Riformista lascia quasi intendere che l’attuale esecutivo (in carica, appunto, da tre mesi) sapesse dove andare a guardare. Vette altissime. Che poi, a dirla tutta, su qualcosa l’attuale Governo dovrebbe fare chiarezza: tempo due mesi fa, intervistato da Massimo Giletti, il pentito Salvatore Baiardo, uomo di fiducia dei fratelli Graviano, afferma candidamente: “Presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato, che faccia una trattativa lui stesso di consegnarsi e faccia un arresto clamoroso e così arrestando lui esce qualcuno che ha l’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore… Può essere un… come si dice, un bel regalino, un fiore all’occhiello”.

La guerra delle intercettazioni

La premier nega stizzita ogni trattativa, ma dai banchi dell’opposizione il deputato del Partito Democratico, Roberto Morassut, chiede al Ministro dell’Interno di riferire in aula per fugare ogni dubbio su un possibile nuovo e inquietante capitolo della trattativa Stato-mafia. Probabilmente, visti gli strascichi, non è stata una grande idea da parte del presidente Giorgia mettere il cappello su un arresto su cui magistratura e forze dell’ordine stavano lavorando da trent’anni, tanto più in un momento in cui il suo ministro della Giustizia, Carlo Nordio, spalleggiato dall’ala berlusconiana del Governo, dichiara guerra a quelle intercettazioni che – come ha ribadito il procuratore capo di Palermo in conferenza stampa – sono state fondamentali per l’arresto del boss. Perché sì, la politica ha sempre avuto un ruolo nelle operazioni che hanno portato agli arresti dei superlatitanti di Cosa Nostra, da Totò Riina a Matteo Messina Denaro: è sempre stata un ostacolo, più o meno colluso, al lavoro dei magistrati.

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