Non si fa più credito, per fermare una situazione “quasi fuori controllo” e per “bloccare gli effetti di una politica scellerata”, sostiene l’esecutivo. È una svolta clamorosa e per certi versi improvvisa quella attuata del governo Meloni sul superbonus, la misura con cui lo Stato negli ultimi anni ha finanziato i lavori di ristrutturazione con l’obiettivo primario di migliorare l’efficienza energetica di migliaia di edifici. Finisce l’era della cessione del credito e dello sconto in fattura. Da adesso in poi, i nuovi lavori si potranno eseguire solo a proprie spese, provvedendo poi alla detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi, e pagando meno tasse nei 5 anni successivi. Ma come si è arrivati a questa decisione? Cosa cambia per chi ha già avviato i lavori e per chi vorrà farli dopo questo decreto? E cosa succede adesso con le regole cambiate anche per gli altri bonus fiscali legati alla casa? Andiamo con ordine.
Perché il governo ha bloccato i crediti del superbonus
Con un decreto legge, giovedì 16 febbraio il Consiglio dei ministri ha bloccato la cessione dei crediti e lo sconto in fattura dei bonus fiscali e in particolare del superbonus. L’obiettivo è duplice, ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “Risolvere il nodo dei crediti e mettere in sicurezza i conti pubblici”. “I bonus hanno prodotto anche benefici per alcuni cittadini, ma hanno posto in carico a ciascun italiano duemila euro a testa. Questo il bilancio di questa esperienza”, ha sentenziato Giorgetti. In effetti, finora i bonus edilizi sono costati allo casse pubbliche 110 miliardi di euro. Solo per il superbonus 110% (ora depotenziato al 90%) la spesa è stata di 61,2 miliardi, mentre altri 19 miliardi sono stati impegnati per il bonus facciate. Per il superbonus erano state stanziate risorse per 33,3 miliardi, ma il conto ha già superato di slancio i 60 e sarà ben più salato. Una spesa che graverà sulle spalle degli italiani.
A preoccupare il governo, e non da oggi, sono le truffe per miliardi di euro sui bonus fiscali avvenute negli ultimi mesi, nonché l’aumento considerevole del debito pubblico. Anche il governo Draghi era intervenuto per correggere le regole della cessione dei crediti, in origine cedibili a più società e intermediari per un numero illimitato di volte, cercando di limitarla. Ora però il blocco è totale, o quasi. Una mossa che è stata mal digerita dal settore, con le imprese dell’edilizia che hanno lanciato un allarme, parlando di “cantieri e migliaia di posti di lavoro a rischio, con un possibile tracollo per imprese e famiglie”.
Superbonus, l’allarme delle imprese: “A rischio 130mila posti di lavoro”
Cosa è stato bloccato, cosa si può ancora fare
La stretta del governo, arrivata a sorpresa con un’integrazione all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di ieri, è contenuta nel decreto in materia di cessioni dei crediti di imposta relativi agli interventi fiscali, già pubblicato in Gazzetta ufficiale. Si compone di due soli articoli, ma con misure d’impatto. Il primo articolo certifica lo stop totale a sconto in fattura e cessione del credito. Significa che d’ora in avanti per i nuovi interventi edilizi (non quelli già avviati) resta solo la strada della detrazione d’imposta. Con questo nuovo decreto legge, inoltre, arriva il divieto per le pubbliche amministrazioni ad acquistare crediti derivanti dai bonus edilizi.
Proprio questi acquisti, come ha evidenziato Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea), “avrebbero un impatto diretto sul debito pubblico”, secondo quanto ha spiegato Giorgetti. Il meccanismo della cessione dei crediti si è arenato soprattutto perché molti di questi crediti sono rimasti bloccati, o “incagliati” in gergo tecnico, a carico delle aziende edili. Le banche hanno fermato gli acquisti dei crediti in seguito all’esaurimento del cosiddetto “spazio fiscale”, cioè hanno ricevuto moltissime richieste per un credito totale che supera le tasse dovute allo Stato. In tal modo, non avrebbero più potuto incassare gli ulteriori crediti comprati.
Bonus edilizi, il conto è salato: ci costeranno 10 miliardi l’anno
Facciamo chiarezza. Il superbonus può (o meglio: poteva) essere riscosso in tre modi. Una delle tre possibilità con cui si può usufruire dell’agevolazione è attraverso la comunicazione dei pagamenti per i lavori nella dichiarazione dei redditi, pagando meno tasse nei 5 anni successivi per arrivare al 110% dell’importo pagato. Una seconda possibilità è (era) lo sconto direttamente in fattura, recuperato successivamente dai fornitori che riscuoteranno per conto proprio il credito d’imposta.
La terza opzione è (era) la cessione del credito di imposta: si esercita trasferendo la detrazione fiscale ad altre imprese, banche, enti o professionisti. In cambio della cessione del credito, chi ristruttura casa ha la possibilità di avere subito i soldi che servono per iniziare i lavori, oppure per accedere a un mutuo o a un finanziamento. In sostanza, chi vuole fare dei lavori di efficientamento energetico può pagare l’impresa, invece che una somma ipotetica di 10mila euro, con il credito d’imposta di 11mila euro. Chi compra un credito di imposta fa un investimento, se sa che può poi cederlo a sua volta per esempio a una banca. Il governo Meloni ha tenuto in piedi solo la prima possibilità, bloccando le altre due.
Non solo superbonus, però. La stretta coinvolge una serie di incentivi legati alla casa. Al momento sono diversi i lavori per i quali è previsto lo sconto in fattura e la cessione del bonus statale dal committente all’impresa che esegue i lavori. Un meccanismo che finora ha permesso al privato di trasformare la detrazione dalle tasse del bonus (spalmabile in un arco di tempo) in uno sconto sulla fattura pari alla detrazione o nella totale gratuità dei lavori quando il bonus supera il 100%. Tra questi c’è il bonus ristrutturazione, la detrazione del 50% dell’ammontare del costo dei lavori spalmata su 10 anni, destinata agli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Rientrano nel bonus ristrutturazione anche le spese relative ad interventi di manutenzione ordinaria realizzati sulle sole parti comuni condominiali.
Anche l’ecobonus al 50 e al 65% rientrava finora tra quelli per cui si sono potuti sfruttare la cessione del credito e lo sconto in fattura. Così come il sismabonus e il bonus facciate, ovvero la detrazione del 60% per le spese sostenute nel 2022 e del 90% per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021, spalmabile in 10 anni. Riguarda lavori finalizzati al recupero o al restauro della facciata esterna degli edifici esistenti, anche strumentali (e sono inclusi anche gli interventi di sola pulitura o tinteggiatura esterna).
I lavori già avviati e quelli futuri
In sintesi, il superbonus e gli altri incentivi sulla casa continueranno ad esistere, ma resteranno solo come agevolazioni per pochi e per ricchi: senza cessione dei crediti e senza sconto in fattura, potranno essere sfruttati solo da chi può permettersi di eseguire e pagare i lavori a proprie spese (per avere poi una detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi). Andando più nel dettaglio, il decreto con le nuove regole è stato già pubblicato in Gazzetta ufficiale ed è in vigore da oggi, venerdì 17 febbraio. Vediamo allora cosa cambia in concreto.
Chi ha già avviato i lavori, e li ha effettuati almeno per il 30%, non dovrebbe avere problemi ad ultimarli. Per quanto riguarda i condomìni, tutti quelli che hanno adottato la delibera assembleare sull’esecuzione dei lavori e hanno presentato la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) potranno ancora cedere all’impresa il credito di imposta, e quindi effettuare le opere senza costi per il superbonus. Il “salvacondotto” deve però tenere conto del paletto fissato lo scorso novembre, che dava come data limite il 25 novembre 2022 per la delibera dei lavori in assemblea.
Il blocco dei crediti non sarà applicato a chi ha presentato la comunicazione di inizio lavori prima dell’entrata in vigore del provvedimento: se la Cila è stata depositata ma i lavori non sono ancora cominciati, però, c’è il rischio concreto di ritrovarsi una banca riluttante ad acquistare il credito. Nessuna speranza, invece, per chi non ha ancora presentato la Cila: in questo caso non viene più riconosciuta la possibilità di cedere il credito. Per gli altri bonus, invece, sarà necessario aver già iniziato i lavori.
Anche per le villette il decreto del governo salva lo sconto in fattura solo per chi ha presentato la Cila. Per le case unifamiliari, invece, il bonus è anche sceso dal 110 al 90%. E a poter usufruire dello sconto saranno solo i nuclei familiari con un reddito non superiore ai 15mila euro, da calcolarsi con il meccanismo del quoziente familiare (come abbiamo spiegato qui).