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Più vigneron, meno dosaggi: le vendite di Champagne lungo lo stivale

Più vigneron, meno dosaggi e grande attenzione alle cosiddette Cuvée de Prestige. Dopo il 2021, anno record, l’Horeca ha fatto scorta di Champagne in inverno, mentre la Gdo è in netta controcifra. La Lombardia e Milano si confermano in cima alle vendite.

Che gli italiani amino mangiare bene è un dato ampiamente risaputo, ma è altrettanto ormai consolidata la vera e propria infatuazione nei confronti delle bollicine, in particolare di quelle che provengono da una regione leggendaria e iconica di nome Champagne. I dati sull’importazione in Italia del 2021, diffusi ogni anno dal Bureau du Champagne, lasciano spazio a pochi dubbi: nell’anno hanno varcato le Alpi 9,2 milioni di bottiglie di champagne, pari a poco più 200 milioni di euro a valore (prezzi franco cantina e tasse escluse). Numeri che ci dicono che in Italia siamo tornati agli stessi livelli non solo del 2019, ultimo anno pre-Covid, ma quasi a quelli del 2008, quando le bottiglie furono 9,4 milioni.   

Cosa è successo nel 2022? Difficile prevedere se questi dati record verranno confermati per una serie di motivi sia storici che contingenti. I primi ci dicono che “i conti si fanno sempre alla fine” e, nel caso dello champagne, sebbene le abitudini di consumo siano decisamente cambiate rispetto al passato, il grafico delle vendite continua ad avere un’impennata decisa, e decisiva per il computo finale, come sempre intorno alle festività di fine anno. A questo, però, bisogna aggiungere il tema dell’inflazione e la delicata congiuntura economica che stiamo vivendo, a causa in primis dalla crisi energetica, fattori che inducono chiunque a essere particolarmente prudente nelle previsioni.

Primo semestre 2022: import a gonfie vele, Gdo in controcifra

Nei primi sei mesi del 2022, due dati, emergono in modo chiaro. Le importazioni dalla Francia hanno continuato a far registrare dati record, mentre la Gdo ha lasciato sul campo punti percentuali a doppia cifra ed è tornata, probabilmente, su livelli più consoni. Nei primi sei mesi del 2022 sono entrati in Italia 3,8 milioni di litri di champagne (fonte dati: Nomisma Wine Monitor su dati Istat), equivalenti a poco più di 5 milioni di bottiglie, il 65% in più rispetto al 2021. In Gdo, invece, sono state vendute il 20% in meno di bottiglie nello stesso periodo, pari a 331.116 (fonte: NielsenIQ Italia). Cosa significa? “C’è il fattore controcifra, ma non solo. Bisogna guardare ai 12 mesi”, commenta Luca Cuzziol, presidente di Società Excellence, realtà che riunisce 21 dei più importanti importatori e distributori di vino e distillati e per i quali lo champagne è una voce molto importante. “Mediamente le aziende di champagne più conosciute e importanti hanno messo in commercio almeno il 20% in meno di prodotto rispetto all’anno scorso”. Tra i motivi la minor produzione del 2019, il modesto tiraggio del 2020 in fase di piena pandemia e, infine, il gelo del 2021. Insomma, di champagne ce n’è meno. “Quindi, nei primi 6 mesi l’Horeca ha messo, come si suol dire, fieno in cascina per l’inverno”, conclude Cuzziol. Sul fronte della Gdo, invece, “il primo semestre 2022 registra un fatturato di 14,7 milioni di euro, in forte calo (-21%) rispetto al primo semestre 2021, pagando di fatto una controcifra dovuta alla ripresa del settore proprio nel 2021”, illustra Matteo Fortarezza, beverage analytic team Leader NielsenIQ. “Da segnalare trend analoghi, anche se più contenuti, per quanto riguarda gli spumanti sia Metodo Classico che Charmat che crescono nell’anno 2021 rispetto al 2020, mentre calano nel primo semestre 2022”. La flessione del primo semestre del 2022 è concentrata invece per circa la metà nel Nord Ovest (-1,9 mio €), seguito da Nord Est (-787 mila €) e Centro (-749 mila €) e distribuita equamente tra supermercati e ipermercati.

I preferiti? Cuvée prestige, piccoli vigneron e bassi dosaggi

Ma al di là di quante bottiglie abbiamo stappato nel 2022, l’Italia rimane un mercato particolarmente interessante e importante da analizzare non tanto e solo per questioni quantitative, ma anche per la composizione di quello che potremmo chiamare il carrello della spesa dello champagne. Capire come si evolve il suo consumo all’interno di un paese che, al netto di mille difficoltà, è da sempre una delle capitali del bien vivre, è fondamentale. “C’è sicuramente uno zoccolo duro del consumo in Italia che è rappresentato dagli appassionati. È un aspetto che si è manifestato in modo clamoroso durante la pandemia”, ci spiega Domenico Avolio, a capo del Bureau du Champagne In Italia e che rappresenta il Comité Champagne con sede a Epernay in Francia. “Nel 2020 pensavamo che i dati di importazione in Italia sarebbero stati quasi catastrofici, e invece si sono rivelati al contrario un successo, con flessioni decisamente contenute. Nel 2021 è poi arrivata l’esplosione. La pandemia ci ha insegnato che c’è un consumo di champagne casalingo molto importante e continuativo, un fenomeno a dire il vero non solo italiano”.

Se la pancia del mercato italiano è rappresentata dalla tipologia Brut, senza specificazione dell’annata, che vale il 76,8%, è interessante notare il volume sviluppato delle cosiddette Cuvée de Prestige, pari al 6,6% e che a valore arriva a rappresentare il 20,4 per cento. Un dato, quest’ultimo, che ci accomuna alla Svizzera e al Giappone, patria delle bollicine più costose ed esclusive con il 31%. Un altro fenomeno che sta caratterizzando il mercato italiano ormai da qualche anno a questa parte è la crescita esponenziale del numero di etichette di piccoli vigneron rispetto a quello delle grandi maison: negli ultimi dieci anni la loro presenza è cresciuta del 100% arrivando, nel 2021 a toccare il numero di 588 operatori, contro le 195 maison e le 25 cooperative. “Un tempo ognuno beveva sempre la sua marca alla quale era affezionato, mentre ora c’è maggior voglia di provare etichette nuove”, precisa Andrea Gori, sommelier della trattoria di famiglia Da Burde a Firenze, noto comunicatore del mondo del vino, nonché Ambasciatore dello Champagne nel 2011. “Oggi molti si sono allontananti dai nomi e chiedono lo champagne per vitigno: probabilmente sono alla ricerca di un gusto un po’ diverso da quello delle grandi maison. Un giorno forse arriveremo anche a richieste per zone di provenienza, che per ora non avviene, anche se i distributori di champagne ragionano già così”. Dello stesso avviso anche un altro Ambasciatore delle nobili bollicine francesi, Nicola Roni, ex enotecario e da tempo distributore in Abruzzo, che conquistò il titolo nel 2007. “Il popolo della notte continua a chiedere etichette blasonate, mentre il resto del mercato ama sia champagne più facili e beverini, come i Blanc de Blancs, ma anche, sempre più, quelli con dosaggi molto bassi”. Un fenomeno, quest’ultimo, in crescita esponenziale e che ha portato gli champagne con dosaggi inferiori alla tipologia Brut a occupare una fetta di mercato in termini di volumi pari al 6%. Il motivo? “Noi siamo all’avanguardia, anche rispetto alla Francia, nel bere champagne a tutto pasto”, continua Gori, sottolineando un fenomeno che, insieme a quello della destagionalizzazione, connota sempre di più il mercato italiano.

La geografia dei consumi 

Difficile compilare una mappa geografica del consumo degli oltre nove milioni di champagne che entrano in Italia a causa della (cronica) assenza di dati aggregati. Le vendite della grande distribuzione, che nel 2021 sono state pari a 1,4 milioni di bottiglie per un valore al consumo di oltre 60 milioni di euro, mettono nettamente in cima la Lombardia (340 mila bt.), seguita dal Lazio (155 mila bt) e della Toscana (145 mila bt), mentre al vertice, per prezzo medio a bottiglia (51,88 euro) troviamo il Veneto. Secondo i dati dell’Osservatorio sull’e-commerce del vino in Italia nato dalla partnership tra Nomisma Wine Monitor e Vino.com, on line troviamo al primo posto sempre la Lombardia, con il 28,4% delle vendite, seguita questa volta dall’Emilia-Romagna con l’11,3% e la Toscana con il 9,4%. E l’Horeca? “Fino alla fine degli anni ’90, quando il mercato era molto stabile, c’era una sorta di stereotipo che diceva che fosse l’Emilia la capitale dei consumi dello champagne, seguendo la direttiva Reggio Emilia, Parma, Piacenza sino ad arrivare a Milano”, afferma Luca Cuzziol. “Oggi Milano è forse diventata la capitale del consumo, poi troviamo l’area turistica della Campania, dalla Penisola Sorrentina sino a tutte le spiagge del Cilento, anche per l’assenza di bollicine locali. Certamente da evidenziare aree come quella di Brescia, Padova e Modena. L’Alto Adige ha un buon consumo perché ha un ottimo numero di ristoranti stellati, ma non paragonabile a quelli di Milano a parità di stellati. A Roma c’è una vendita più legata all’enoteca”. Ma, conclude Cuzziol, è sostanziale un aspetto: “Oggi lo champagne si beve meglio, con maggior consapevolezza e senza l’esigenza di stupire o come status symbol”.

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