Secondo vari giornali italiani sarebbero indagati Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Attilio Fontana e Giulio Gallera
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La procura di Bergamo ha chiuso una lunga indagine a cui stava lavorando da tre anni sulla gestione dell’epidemia di Covid nella primavera del 2020 nella provincia di Bergamo, quella in cui il Covid ha causato più morti durante la prima ondata. La procura stava indagando per il reato di epidemia colposa, che punisce «chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni»: si tratta della più importante tra le inchieste avviate dalle procure di varie province per accertare eventuali responsabilità penali nella gestione della pandemia.
Secondo diversi giornali italiani tra gli indagati ci sarebbero l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli.
In tutto gli indagati sarebbero 19, e i reati contestati sarebbero epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio. L’avviso di conclusione delle indagini in realtà contiene i nomi di 17 indagati perché le posizioni dell’ex presidente Conte e dell’ex ministro Speranza dovranno essere valutate dal tribunale dei ministri.
Con la chiusura delle indagini preliminari le persone indagate vengono a conoscenza dei reati di cui sono accusati, possono nominare un avvocato e consultare gli atti dell’inchiesta. Nei prossimi 20 giorni inoltre hanno la possibilità di presentare memorie difensive, cioè documenti per sostenere la loro innocenza, o chiedere di essere interrogati dai magistrati. Successivamente la procura, anche sulla base dei nuovi documenti, potrà chiedere l’archiviazione oppure il rinvio a giudizio. «L’avviso di conclusione delle indagini non è un atto di accusa», si legge in una nota diffusa dalla procura di Bergamo.
La procuratrice Cristina Rota con i magistrati Silvia Marchina, Guido Schininà e Paolo Mandurino hanno indagato su tre livelli – provinciale, regionale e nazionale – e si sono concentrati in particolare su due fatti: la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo, il 23 febbraio del 2020, dopo la confermata positività di due pazienti; la mancata istituzione della cosidetta “zona rossa” nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro durante la prima settimana di marzo, sempre nel 2020.
Nella nota della procura di Bergamo si legge che le indagini condotte dalla Guardia di finanza di Bergamo sono state articolate: sono stati sequestrati o acquisiti migliaia di documenti, di mail e di chat telefoniche, e sono state ascoltate centinaia di persone informate sui fatti. Tra le altre cose, i magistrati hanno commissionato uno studio epidemiologico al microbiologo Andrea Crisanti, che ha consegnato la sua relazione a gennaio 2022, quasi un anno fa.
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Secondo lo studio, basato anche sui dati delle indagini fatte da Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler, consulente del governo nella gestione dell’epidemia, se fosse stata istituita la zona rossa in Valseriana entro il 27 febbraio sarebbero morte 4.148 persone in meno, mentre con l’istituzione delle limitazioni entro il 3 marzo i morti sarebbero stati 2.659 in meno.
Crisanti ha spiegato più volte che, secondo le sue valutazioni, la chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo non avrebbe avuto effetti significativi sulla diffusione del contagio, in quanto è stato dimostrato che molte persone si erano ammalate di Covid prima del 23 febbraio 2020. I risultati della consulenza danno più rilevanza alla mancata istituzione della zona rossa. In questo caso le indagini si sono concentrate sulle decisioni prese e soprattutto su quelle mancate. L’obiettivo dei magistrati è capire se persone con responsabilità decisionali – medici, dirigenti sanitari o politici – abbiano scelto di non intervenire pur conoscendo dati allarmanti.
Un altro risvolto dell’inchiesta di Bergamo riguarda il piano pandemico nazionale, un documento che dovrebbe dare indicazioni sulle misure di sicurezza da introdurre in caso di pandemia. Per esempio, quanti dispositivi di protezione individuale distribuire e dove.
Da quanto è emerso finora, sembra che l’Italia avesse un piano pandemico ma non lo aggiornasse dal 2006, dal momento che gli aggiornamenti successivi – compreso l’ultimo del 2017 – non avevano apportato alcuna modifica sostanziale. L’aggiornamento del piano pandemico, cioè procedure e regole a cui è obbligatorio attenersi, è importante per capire come giudicare i comportamenti delle persone coinvolte nelle decisioni o nelle mancate decisioni in provincia di Bergamo e le loro eventuali responsabilità penali.
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Il primo a commentare la chiusura delle indagini è stato l’ex presidente del consiglio Conte, che ha detto di aver appreso la notizia dalle agenzie di stampa. «Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura. Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica», ha detto Conte. L’ex ministro Roberto Speranza ha detto di essere «molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina ed onore nell’esclusivo interesse del Paese». L’ex assessore regionale Giulio Gallera ha detto che chiederà «tutto il tempo necessario per esaminare gli atti e predisporre il contraddittorio affinché possa essere accertata la correttezza delle azioni messe in campo durante l’emergenza».