Il naufragio di Cutro era prevedibile ed evitabile e le autorità italiane responsabili devono essere chiamate a risponderne. Lo scrivono con “fondata ragione” in un esposto collettivo presentato il 9 marzo alla Procura di Crotone 40 organizzazioni della società civile italiana ed europea, chiedendo di fare luce sul naufragio di domenica 26 febbraio a Steccato di Cutro, costato la vita ad almeno 72 persone, tra cui molti bambini.

“Prevedibile”, alla luce delle informazioni comunicate da Frontex, ed “evitabile” se solo la normativa nazionale e internazionale in tema di soccorsi in mare “fosse stata puntualmente applicata da parte delle autorità a ciò preposte”.

Mettendo in fila i fatti con cura nelle 26 pagine dell’esposto, le organizzazioni chiedono alla Procura di condurre “indagini accurate in relazione anche alle possibili responsabilità penali delle autorità italiane, il cui operato suscita inquietanti interrogativi”. Non fosse altro perché quelle stesse autorità avevano “ricevuto comunicazione in merito alla presenza dell’imbarcazione diretta verso le coste italiane quasi 24 ore prima del disastro”.

Il documento prende le mosse dalla ricostruzione pubblica fatta dall’Agenzia Frontex, la quale ha reso noto che “nelle ultime ore di sabato (25 febbraio), un aereo di Frontex (Eagle1) che monitorava l’area di ricerca e soccorso italiana nell’ambito dell’operazione congiunta Themis ha avvistato un’imbarcazione diretta verso la costa italiana. Una persona risultava visibile sul ponte. La barca navigava in autonomia e non c’erano segni di distress. Tuttavia, le termocamere a bordo dell’aereo Frontex hanno rilevato una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua e altri segni che potessero esserci persone sotto il ponte”. L’informazione dell’Agenzia arriva anche alla Centrale operativa della Guardia costiera di Roma, la quale “tuttavia non assumeva alcuna iniziativa a riguardo”, si legge nell’esposto, che ricorda come le “sole attività di ricerca in mare” siano state intraprese unicamente da due mezzi della Guardia di Finanza: la vedetta V.5006 e il pattugliatore veloce “Barbarisi”. Che però dopo un “breve lasso di tempo e senza esito” interrompono le attività a causa “a quanto divulgato” di “condizioni meteomarine sfavorevoli”.

Anche su questo gli autori dell’esposto richiamano l’attenzione della Procura. “Che le condizioni meteomarine fossero tali da impedire la prosecuzione delle ricerche e degli eventuali soccorsi […] è circostanza che può ragionevolmente essere esclusa”. Proprio perché “autorevoli voci” hanno invece sostenuto che l’intervento di soccorso fosse “possibile, oltre che doveroso”, aggiungendo poi che tutte le persone a bordo “avrebbero potuto essere salvate e la strage del 26 febbraio evitata”, se solo la “macchina dei soccorsi avesse funzionato correttamente”. Quella nave poteva essere “accompagnata e scortata convenientemente in modo da impedire che affondasse in una secca sabbiosa, evitando il naufragio”.

Il vero punto da chiarire è perché il Centro di coordinamento dei soccorsi, “pur informato da Frontex”, non abbia voluto assumere il coordinamento e inviare “assetti navali e aerei al fine di approfondire il quadro e valutare l’esigenza del soccorso”. Sapeva del resto che ci fosse un “numeroso carico umano sottocoperta e apparentemente privo di dispositivi di protezione individuale”.

Le citazioni dal Piano Sar marittimo nazionale del 2020 (approvato nel febbraio 2021) circa il dovere di disporre i primi interventi di soccorso alla luce della notizia del pericolo sono macigni per l’Italia. E infatti l’esposto continua: “Al momento della segnalazione di Frontex sussistevano tutti i presupposti per ‘dubitare della sicurezza delle persone a bordo’ in ragione della ‘mancanza di informazioni o alle eventuali difficoltà in cui potrebbero versare”.

Peraltro il Centro di coordinamento dell’attività di soccorso di Roma aveva lanciato un messaggio Inmarsat legato a un evento Sar n. 384 a seguito di un segnale di mayday per un possibile natante in distress. Un messaggio che fu reiterato, ancora e ancora, come ha ricostruito per primo il giornalista Sergio Scandura.

La morte di oltre 70 persone poteva perciò essere evitata “se solo le operazioni di ricerca e soccorso fossero state intraprese con un adeguato impegno di risorse e mezzi nei momenti immediatamente successivi alla segnalazione di Frontex”. Rispettando quelle “procedure imposte dalla normativa nazionale e delle norme internazionali in tema di obbligatorietà dei soccorsi in mare”.

Sulla vicenda del naufragio di Cutro, il magistrato in quiescenza Rosario Russo, già sostituto procuratore generale della Cassazione, ha presentato un esposto, indirizzato «al procuratore della Repubblica di Catanzaro» Nicola Gratteri, in cui si chiede di dissipare i dubbi sulla condotta della catena di comando dei soccorsi, che vede al vertice i ministri dei Trasporti Salvini e dell’Interno Piantedosi, alla luce dell’articolo 96 della Carta e della legge costituzionale del 1989 (che regolano la competenza del Tribunale dei ministri su reati compiuti durante l’esercizio delle funzioni ministeriali)